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Libia, come cambia la strategia del terrore dello Stato Islamico

L’avanzata dello Stato Islamico in Libia segna un importante cambio di strategia, che preoccupa gli osservatori: per conquistare nuove città, gli uomini di al-Baghdadi non hanno più bisogno di procedere sul terreno, come avvenuto in prima battuta in Siria e in Iraq, ma gli basta cooptare jihadisti locali attratti dal “brand” del Califfato nero.

UN PARADISO PER ESTREMISTI

Mentre la fazione islamista di Tripoli e il governo leggitimo rifugiatosi a Tobruk si facevano la guerra sostenuti da potenze regionali (i primi da Turchia e Qatar, i secondi da Egitto ed Emirati Arabi), i jihadisti hanno avuto modo di rafforzarsi in “silenzio”, come spiega il Wall Street Journal. La decapitazione di 21 copti egiziani, ha attirato i riflettori sull’espansione del gruppo terrorista in Libia e sulla necessità di intervenire prima che il Paese collassi definitivamente, lasciando campo libero ai jihadisti, abili sfruttatori delle divisioni che lacerano l’ex regno di Muammar Gheddafi. I governi occidentali, dicono i più critici, hanno voltato per troppo tempo gli occhi dall’altra parte rispetto alla crisi libica, consentendo che Ansar al-Sharia, ex cellula qaedista entrata poi nell’orbita dei drappi neri, prendesse il controllo di Bengasi; che i miliziani di Wilayat Barqa, anch’essi vicini al Califfo, occupassero Derna; e così a poco a poco che ciò accadesse in altri lembi di terra, prevalentemente sulla costa mediterranea (come Sirte, poi liberata), fino a minacciare l’Italia.

L’ESPANSIONE DELLO STATO ISLAMICO

Questa tattica di affiliazione, unita ad una comunicazione efficace basata sull’uso di media tradizionali e social network, sta consentendo allo Stato Islamico di propagarsi in fretta. “La Libia – scrive il quotidiano americano – non è l’unico luogo al di fuori di Siria e Iraq, dove il gruppo estremista ha aperto filiali, in gran parte assorbendo gruppi jihadisti locali nel suo progetto di dominio del mondo e di guerra di religione, fino al trionfo totale dell’Islam. Ci sono “province” del Califfato – sottolinea – anche nella penisola egiziana del Sinai, in Yemen, e nel cosiddetto Khorasan, una regione a cavallo tra Afghanistan e Pakistan“.

L’ANALISI DI LUTTWAK

Lo Stato Islamico, ha spiegato in una conversazione con Formiche.net lo storico e analista di geopolitica e intelligence Edward Luttwak, è stato per certi versi sottovalutato. “Non ha bisogno di organizzare la sua espansione militarmente, perché la sua forza è nel brand e nella sua “naturale” legittimità per gli islamici: è lo Stato Islamico, non l’Isis o l’Isil. Il termine che usano i terroristi ha un significato. Il loro obiettivo non è regionale. Hanno forte forza attrattiva che gli consente di reclutare volontari ovunque. Ad ogni modo quello dello Stato Islamico è un epifenomeno. Potrà anche morire, un giorno, ma verrà rimpiazzato, perché il fenomeno vero è che stati nordafricani e mediorientali collassano. E se dovesse cadere anche l’Arabia Saudita, sarà caos vero“. Per l’esperto, a spianare la strada allo Stato Islamico c’è un vero problema culturale, destinato ad esplodere. “Il modello di società islamica è in crisi. Ovunque nel mondo aumentano i diritti civili, mentre loro sono fermi all’età della pietra. Ovunque si crea benessere economicamente, invece loro utilizzano solo le loro risorse petrolifere, senza distribuire ricchezza. Le persone istruite fuggono da quei Paesi, che così segnano da soli il loro futuro“.



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