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Pensioni, come nasce il vero buco dell’Inps

In una Italia dominata e governata dai tweet di Renzi e della sua cerchia non si può – purtroppo – pretendere che si parli o si scriva partendo dai fatti, dai numeri, dai dati certi e certificati.

Financo Tito Boeri, imminente presidente dell’Inps – bocconiano come il suo fido scudiero, nuovo Direttore generale INPS – da anni disquisisce sulla necessità di colmare il Buco Inps. Come? In un unico modo, secondo lui: quello di ricalcolare il valore delle pensioni in atto, interamente con il metodo contributivo. Secondo il costume renziano, ciò consentirebbe di togliere ai ricchi per “sedare i poveri”.

Ovviamente, le cose non stanno così: il buco dell’Inps non è legato alla gestione previdenziale ed ai suoi contributi (che genera un attivo, tasse incluse, di circa 24 miliardi) ma a quella assistenziale, ossia ai costi Inps per prestazioni “caritatevoli” erogate dall’Inps stesso, su input dei governi di turno.

Prestazioni non coperte o coperte solo parzialmente da fondi statali, ma rese obbligatorie per effetto di centinaia di provvedimenti governativi (leggi, decreti, circolari) che hanno caricato l’Inps di compiti assistenziali, teoricamente non rientranti nella sigla Inps (istituto nazionale previdenza sociale) data l’assenza della A di assistenza.

Tant’è. Siamo in Italia e non ci si deve meravigliare di nulla.

(Primo di una serie di post sul tema assistenza/previdenza)


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