Terza e ultima parte dell’analisi di Fernando Liuzzi sull’evoluzione della Lega Nord a partire dalla manifestazione romana di sabato scorso. La prima parte – sulla coalizione sociale e politica (ben poco padana) allestita da Matteo Salvini – si può leggere qui. E la seconda – sulla biblioteca di Salvini – qui.
Nessuno pensa che Salvini sia un intellettuale, e, del resto, sarebbe probabilmente lui stesso a smentire chi sostenesse questa tesi. E tuttavia è stato forse utile ripercorrere i suoi consigli di lettura, funzionali a disegnare l’immagine della sua nuova Lega. O meglio, della coalizione social-politica che ha l’ambizione di guidare. Salvini ha usato un vecchio trucco della destra: pescare nei serbatoi culturali della sinistra per offrire di sé un’immagine più presentabile e più popolare. Già. Ma per fare cosa?
Della Lega di Bossi si è parlato, da parte dei cultori della materia, come del Sindacato del Nord. Adesso Salvini sembra proporsi come il difensore dei piccoli. Renzi, sostiene infatti Salvini, ha scelto i grandi: banche, grandi aziende, Confindustria, grandi giornali. E Marchionne, con cui si scambia stucchevoli complimenti. “Noi”, grida dal palco di piazza del Popolo, “stiamo con i piccoli”.
I piccoli intesi, peraltro, non solo come piccoli imprenditori, artigiani, negozianti. Ma in genere, appunto, come “piccoli”, singoli cittadini travolti dalla crisi economica globale, vessati dalle tasse, oppressi dalle leggi e dai regolamenti di origine statale o eurocratica che siano. Una definizione di sé che cerca di venire incontro a un sentimento diffuso di malessere. Un sentimento che in parte ha trovato rifugio, recentemente, nelle liste proposte da Beppe Grillo, e forse è di nuovo in cerca di un altro approdo. Ma va anche detto che la sintesi di Salvini, nel momento in cui abbandona il radicamento padano, sostanzialmente produttivista, per farsi risposta nazionale, perde di spessore socio-economico e si avvicina pericolosamente al vecchio o, per dir meglio, antico qualunquismo di Giannini.
Da questo punto di vista, è interessante notare che, su sette figure sociali che hanno preso la parola a piazza del Popolo, ben due sono pubblici dipendenti: il medico ospedaliero e il poliziotto. Come le loro rivendicazioni, volte quanto meno a difendere se non a incrementare la spesa pubblica, possano stare insieme con il più che probabile calo delle entrate connesso all’introduzione di una flat tax al 15%, non è chiaro. Negli anni della ripresa e poi dello sviluppo postbellico, fu anche questo il terreno su cui la Dc sgominò Giannini e il suo Partito dell’Uomo Qualunque. Nel senso che non abbassò le tasse, ma fece salire la spesa pubblica. Oggi, dentro a una perdurante crisi economica, nessuno riesce ad abbassare le tasse, mentre la spesa pubblica tende a contrarsi. Stando comodamente all’opposizione, Salvini può invece prospettare contemporaneamente ai piccoli produttori un radicale abbattimento del carico fiscale, e ai pubblici dipendenti una difesa della spesa pubblica. Non è un gioco molto originale.
Ma nello scenario dato, Salvini aspetta, guardando fiducioso alle urne.