La ricerca di una nuova ed efficace politica per il governo dei flussi migratori da parte dell’Unione Europea è percorsa da polemiche senza fine sul contenuto e le prospettive del programma “Triton”, che ha preso il posto dell’operazione “Mare Nostrum”.
Un bilancio fallimentare
Un confronto che viene arricchito dal contributo fornito dalla Fondazione “Intelligence, Culture and Strategic Analysis” (Icsa). Il testo, intitolato “Dalla protezione delle frontiere alla salvaguardia della vita: allineare il diritto dell’Ue con quello delle Nazioni Unite”, punta a modificare le strategie delle istituzioni comunitarie e di molti paesi del Vecchio Continente riguardo al tema della salvaguardia della vita in mare.
La tutela della sopravvivenza delle persone in fuga da guerre, persecuzioni e carestie è clamorosamente assente nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, rimarca la fondazione. E più volte è stata negata da numerosi Stati membri dell’Ue, nonostante il riferimento solenne alle libertà inalienabili proclamate in tutti i trattati fondamentali.
Il risultato di una strategia di respingimento compiuto spesso con il ricorso alla forza, e di rifiuto dell’accoglienza dei richiedenti asilo, è eloquente: nel 2014 il Mar Mediterraneo ha visto morire 3.419 migranti.
L’assenza di un obbligo vincolante
Una tragedia umanitaria in corso da tempo che ha ricevuto risposte del tutto inadeguate da parte di Bruxelles e della grande maggioranza dei governi europei. Che hanno concepito il tema in termini di sicurezza delle frontiere anziché di salvaguardia della vita umana. Ma che, con miopia e cinismo, ne hanno abbandonato la gestione a un unico Stato membro: l’Italia.
Eppure, ricorda il presidente della Fondazione Icsa Leonardo Tricarico, tutti i paesi aderenti all’Ue hanno sottoscritto accordi internazionali che prevedono il dovere di garantire l’incolumità in mare dei richiedenti asilo: “Il problema è che la firma non comporta alcun meccanismo sanzionatorio per chi rifiuta di realizzare l’assistenza”.
Una carenza clamorosa
La strada prospettata dal pensatoio politico e strategico consiste nell’adozione di vincoli giuridico-normativi per far rispettare un’elementare esigenza etica.
La Convenzione del 1950, rimarca il generale, è stata allargata ben 14 volte grazie a protocolli aggiuntivi che puntano a tutelare libertà come il diritto alla riservatezza e i ricongiungimenti familiari. “L’unico non ancora garantito è proprio la sopravvivenza mentre si fugge in mare da conflitti, fame, gravi violazioni umanitarie”.
“Rendere la Cedu competente per il soccorso in mare”
L’idea è introdurre un 15° protocollo in grado di colmare la lacuna e far rientrare l’obbligo di soccorso in mare nella giurisdizione della Corte europea per i diritti dell’uomo.
A qual punto i paesi che rifiutassero di assistere i profughi in pericolo potrebbero subire condanne e pagare un risarcimento adeguato.
“Governare i tragitti in mare come il traffico aereo”
Un passo logico successivo, evidenzia il presidente della fondazione, prevede la creazione di un’agenzia europea di ricerca e soccorso. “Realtà comunitaria costituita secondo standard tecnici e prestazioni di livello elevato per il salvataggio in mare. Ben più efficace rispetto al mero coordinamento del pattugliamento delle frontiere Ue esercitato dagli Stati membri”.
A giudizio di Tricarico si tratta di trasporre nel Mediterraneo ciò che attualmente avviene nei cieli: “L’autorizzazione per disciplinare il traffico aereo proviene da un organismo continentale presente a Bruxelles e chiamato Eurocontrol”.
Il ruolo dell’Italia
L’iniziativa prefigurata nel rapporto deve approdare nel Consiglio d’Europa. E può partire dal governo italiano: “Il quale potrebbe porsi alla testa delle istituzioni comunitarie in coerenza con i loro principi”.
Nel frattempo, a farsi carico di rilanciare la proposta a livello Ue è stato il gruppo socialista e democratico al Parlamento di Strasburgo.
È probabile, rileva l’ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, che “singoli Stati porranno veti e tireranno calci a fronte della denuncia di comportamenti inqualificabili messi in luce dal nostro documento. Se proseguissero nell’atteggiamento di ostilità, l’Unione dovrebbe restituire il premio Nobel per la pace ricevuto nel 2012”.