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Perché serve l’ingresso della Turchia nell’Unione europea

Per tradizione storica e posizione geo-politica la Turchia può giocare un ruolo cruciale nei più rilevanti teatri di crisi internazionale.

Una Turchia sempre più lontana

Ma si è trovata al centro delle accuse di molti paesi occidentali per un atteggiamento ritenuto tergiversante nei confronti del Califfato e per le tensioni con l’Egitto nell’intricato puzzle libico.

Allo stesso tempo Ankara ha spostato l’asse privilegiato delle proprie strategie energetiche nel versante asiatico, mentre “l’uomo forte” della Repubblica Recep Erdogan ha compiuto scelte illiberali nel terreno della giustizia e della libertà d’espressione.

Le responsabilità dell’Europa

E se la risposta ai limiti da più parti messi in luce passasse per l’adesione della Turchia all’Unione Europea? È l’obiettivo di una campagna promossa molti anni fa dal Partito Radicale, e che la rivista di politica transnazionale “Diritto e Libertà” fondata e diretta da Mariano Giustino ha voluto rilanciare in un convegno organizzato a Roma.

Lo ha fatto a 10 anni dall’avvio dei negoziati tra il governo di Ankara e Bruxelles. Un percorso frenato, contraddetto, interrotto e congelato a causa dell’ostilità di paesi come la Francia, la Repubblica Greca di Cipro e in parte la Germania.

Trattative che la nazione euro-asiatica è pronta a riprendere in tutti i capitoli, come affermato venerdì dal ministro per gli affari europei Volkan Bozkir: “Senza progressi verso la Ue, la Turchia perde lo stimolo a realizzare le riforme”.

L’apertura di Ankara

A rimarcare il carattere strategico del percorso di integrazione nelle istituzioni comunitarie è l’ambasciatore di Ankara in Italia Aydın Adnan Sezgin. Il quale invita Bruxelles “a superare politiche miopi guidate da interessi temporanei di taluni Stati membri”. E ad appoggiare un percorso “che ha portato a un miglioramento nel rispetto delle libertà fondamentali”.

Ricordando la comunanza di interessi nella cultura, nell’ambiente, nell’energia, nella lotta al terrorismo, il diplomatico è convinto che la riapertura del confronto contribuisca a rafforzare il carattere democratico e laico di un paese che ha registrato notevoli performance nel terreno economico: “Nel 2015 è prevista una crescita del Prodotto interno lordo pari al 4 per cento”.

Lungi dal rappresentare un peso per l’Ue, la Turchia è pronta a consolidare la cooperazione per garantire la sicurezza nel Medio Oriente e nel Mediterraneo. E vuole riavviare le trattative anche sui temi più controversi come giustizia e diritti umani. È così, osserva, che potremmo favorire l’esercizio di un “soft power” per costruire un’Europa non ripiegata nei propri confini geografici.

Un sondaggio significativo

Non è casuale che una ricerca di opinione realizzata a gennaio dall’autorevole Kadir Has University di İstanbul faccia emergere un 71,4 per cento della cittadinanza turca favorevole all’ingresso del proprio paese nell’Unione Europea.

Cifra impensabile fino a qualche anno fa. Ma che, ricorda l’ex ambasciatore italiano ad Ankara cifra Carlo Marsili, rispecchia l’entusiasmo registrato nel 2005 quando furono aperti i colloqui per l’adesione.

La linea di azione del governo italiano

L’esigenza di una risposta adeguata alle aspirazioni di quel 70 per cento di cittadini turchi è messa in rilievo dal sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova.

Che rivendica al governo italiano il merito di aver impegnato il Consiglio Europeo di dicembre a riattivare il confronto sul capitolo relativo all’integrazione economica: “Con l’ambizione di coinvolgere la Turchia nell’applicazione del Trattato di libero scambio transatlantico”.

Tutto ciò, rileva l’esponente dell’esecutivo, nonostante le autorità di Ankara abbiano compiuto scelte come il tentativo di censurare Twitter: “Decisione respinta dalla Corte suprema turca, ma che ha alimentato una reazione negativa nell’opinione pubblica europea”.

“L’Ue non può perdere un paese chiave”

La politica italiana appare determinata nel perseguire il traguardo prefigurato 10 anni fa.

Il capogruppo del Partito democratico nella Commissione Esteri della Camera dei deputati Vincenzo Amendola spiega come la tendenza alla paura e all’isolazionismo prevalenti nel Vecchio Continente abbiano spinto le forze politiche turche ad allontanarsi dall’orizzonte del legame con l’Ue. “Compreso il Partito giustizia e sviluppo di Erdogan, che era apparso il più convinto della bontà dell’integrazione”.

Le istituzioni comunitarie, ribadisce la parlamentare del Pd e coordinatrice dell’intergruppo “Turchia in Europa da subito” Gea Schirò, non può fare a meno di un paese che ha assunto la guida del G-20 e potrebbe giocare un ruolo nella riforma della governance finanziaria mondiale, presenta un elevato dinamismo economico, vanta una posizione fondamentale in campo energetico”.

L’esigenza di leadership lungimiranti

È necessaria tuttavia, aggiunge il responsabile Affari istituzionali e regolatori del Gruppo UniCredit e editore della rivista “EastGiuseppe Scognamiglio, la convergenza di leadership illuminate in Europa e in Turchia: “Un nuovo Helmut Kohl e un Erdogan giovane, come quello che nei primi anni di governo ha promosso storiche riforme soprattutto in campo economico raggiungendo il rispetto dei parametri di Maastricht”.

Un panorama partitico conflittuale e in fermento

Figura che oggi, evidenzia il vice-direttore dell’Istituto Affari Internazionali Nathalie Tocci, persegue finalità differenti: “Divenuto Capo dello Stato, agisce da premier e capo-partito puntando su una riforma presidenziale e provocando una polarizzazione crescente nel paese”.

Conflitto, afferma la studiosa, che in un primo tempo ha visto protagonisti il governo mono-partitico islamico dell’Akp e una società civile laica, ambientalista e con forte presenza curda. Poi si è trasferito nel mondo politico musulmano con la lotta fratricida tra Erdogan e l’ex alleato Fethullah Gülen. A tutto ciò va ad aggiungersi il tema aperto della rappresentanza parlamentare dei curdi, costretti a sfidare la clausola di accesso del 10 per cento come formazione politica autonoma.

L’esperta di geopolitica ritiene in ogni caso probabile che le elezioni generali del 7 giugno trovino sbocco nella costituzione di un esecutivo di coalizione: “Un’alleanza tra islamici e nazionalisti porterebbe al blocco del processo di pace con le comunità curde, che finirebbero per unirsi a una sinistra rinnovata in senso socialdemocratico. Ma sarebbe sufficiente la riapertura dei negoziati con l’Ue per promuovere un cambiamento delle dinamiche politiche interne”.

“Alleanza dei volenterosi per un confronto schietto con Erdogan”

L’ex capo della Farnesina Emma Bonino è profondamente convinta della necessità di riprendere il percorso interrotto: “Perché Ankara e Bruxelles mai come adesso hanno bisogno l’una dell’altra, considerando i fronti aperti nel Mediterraneo, Medio Oriente, mondo arabo”.

La strada prospettata dall’ex ministro prevede la costruzione di un’alleanza fra tutte le nazioni europee favorevoli all’adesione della Turchia, a partire da Italia, paesi scandinavi e Gran Bretagna. E la promozione di un’iniziativa tenace che prenda spunto da temi come l’allargamento dell’Unione doganale.

Tutte le critiche nei confronti di Erdogan, precisa, devono trovare spazio e risonanza nella sede di un confronto istituzionale aperto: “È così che potremo rivitalizzare il percorso di integrazione europea arenato in una grave crisi”.


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