Il passaggio della legge al Senato sulle unioni civili non è una novità o un’originalità né in Italia né in Europa.
Purtroppo si tratta di una tendenza deleteria atta a sfaldare l’architettura naturalista dei rapporti umani, costituita dalla distinzione ontologica e sessuale del genere umano in maschi e femmine, per perseguire il miraggio, l’ultimo invero, di un individualismo disumano.
È chiaro che il problema non è concedere o riconoscere libertà, ma qualcosa di più profondo: trasformare l’essenza dell’uomo, facendola diventare qualcosa di diverso e di non corrispondente alla natura stessa, biologica e spirituale, della persona.
Non meno grave è l’alterazione che questa concessione falsa di diritti apre nell’organizzazione dello Stato, delle sue leggi e funzioni.
La Cei ha notato il paradosso che tra qualche anno le famiglie dovranno chiedere scusa per il fatto stesso che esistono. In realtà ciò avviene già, con l’introduzione del reato di omofobia, applicabile a chiunque dica qualcosa in favore dell’esclusività maschio – femmina del rapporto matrimoniale. Ma che significa una discriminazione?
Non si discrimina se si riconosce che cose diverse sono diverse, e una relazione omosessuale non gode dei caratteri stessi del matrimonio, impegno pubblico e civile tra persone di sesso diverso per fare i figli, nonché in Occidente cellula base delle relazioni comunitarie.
Il problema più grave riguarda, oltretutto, l’alterazione del senso dello Stato. Un popolo esiste fin quando sussiste la consapevolezza che la propria forma di vita, radicata nella natura e conosciuta culturalmente nel tempo, corrisponde ad un assetto sociale specifico di valori e di riconoscimenti formali e materiali.
Con questa legge la famiglia di fatto non esiste più come sostanza comunitaria su cui si base il nostro stato. Questo vuol dire che solo l’individuo, con i suoi arbitrari diritti astratti, è il criterio guida. Nessun’altra affermazione morale di tipo pubblico viene riconosciuta.
Ormai lo stato si fonda sul relativismo, e in questo modo saltano i criteri identificativi della nostra realtà specifica di paese che ha radici nella giurisprudenza latina e nel cristianesimo.
Sembrerà strano ma con una famiglia de giuridicizzata l’Italia si allinea ad un’Europa molto più debole davanti al terrorismo. Noi come nazione che ospita la Sede Apostolica non siamo in grado di consolidare in stato neanche il più naturale dei principi antropologici fatti propri e consacrati da Gesù di Nazaret nella Sacra Famiglia.
Devastati all’interno, consumati da una falsa idea individualista, diventiamo così terra di conquista di interessi economici e di volontà di potenza impartiti dal fondamentalismo islamico e dalle grandi lobbie finanziarie.
Conviene non disperare e comunque non accogliere con cinismo questa ultima ondata rivoluzionaria che si abbatte sulla nostra civiltà.
Quello che è vero, infatti, resta vero sempre e comunque. E la parte di umanità che noi siamo smette di essere visibile in una forma chiara di stato, ma non smette di esistere com’è unicamente perché la politica assume visioni e scelte errate.
Il fatto decreta soltanto che domani, nel futuro, quando la nostra sicurezza verrà aggredita senza che abbiamo mantenuto gli anticorpi etici necessari, dovremmo come Italia ed Europa certamente tornare sui nostri passi, ristabilire chi siamo e qual’è il nostro modo reale di assumere forma sociale nella famiglia: e da lì ricostruire la nostra unità politica perduta e distrutta da questa ideologia individualista distruttiva.
Non c’e dubbio che oggi chi ha buon senso sa che siamo diventati un po’ più deboli e un po’ più vulnerabili, e questa legge è antropologicamente sbagliata.