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Tutti gli effetti dell’accordo (in fieri) sul nucleare iraniano. Parla Gramaglia

Ancora nessuna intesa a Losanna tra l’Iran e il gruppo dei 5+1: le trattative si sono trascinate fino alla mezzanotte e continueranno anche oggi, nonostante sia scaduto il termine per un accordo politico preliminare per limitare il programma nucleare di Teheran.

Che intesa si profila? Che conseguenze avrà sugli equilibri mediorientali? E quali nei rapporti tra la Casa Bianca, il Congresso e Israele?

Tutti argomenti analizzati in una conversazione di Formiche.net con Giampiero Gramaglia, ex direttore dell’Ansa, consigliere per la comunicazione dell’Istituto Affari Internazionali e firma di esteri per il Fatto Quotidiano.

Che tipo d’intesa si profila? Il New York Times dice che l’intesa si farà notare più per quello che mancherà.

Premesse tutte le opportune formule prudenziali, lo schema cui si lavora è quello di un accordo di massima da confermare e perfezionare entro giugno. La dichiarazione congiunta sarà integrata da documenti che dettagliano i punti fermi già raggiunti e che motivano gli ennesimi tempi supplementari; a partire da un’intesa ad interim, novembre 2013. Tra le questioni principali aperte, la ricerca sul nucleare e le procedure di revoca delle sanzioni. Teheran chiede di potere riprendere senza restrizioni ricerca e sviluppo di centrifughe avanzate, dopo dieci anni dall’accordo, mentre i suoi interlocutori vorrebbero una periodo d’attesa più lungo. Quanto alle sanzioni, ci sono contrasti su quando e come revocarle: gli Stati Uniti e gli europei vorrebbero meccanismi di re-imposizione automatica, se Teheran dovesse violare l’intesa; Mosca e Pechino vogliono un passaggio al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Come reagirà Israele a un accordo in questi termini?

È prevedibile che la reazione d’Israele alla notizia di un’intesa, quale che sia, sarà tra il negativo e il sospettoso. In Israele c’è diffidenza aperta nei confronti di un accordo sia da parte del premier confermato Benjamin Netanyahu sia di tutte forze politiche che privilegiano l’elemento della sicurezza nazionale, che percepiscono senz’altro l’intesa con Teheran come un’accresciuta minaccia per Israele. Allo stesso tempo, all’interno d’Israele, vi sono correnti di pensiero politico che considerano un maggiore coinvolgimento dell’Iran come un elemento di stabilità per la regione, soprattutto nel contrasto a terrorismo e integralismo

E il Congresso Usa, anch’esso ostile a un accordo?

La reazione del Congresso americano sarà invece divisa lungo il crinale politico tra democratici e repubblicani. A Capitol Hill l’accordo sul nucleare e l’accresciuta frizione che ne deriverà tra Washington e Israele vengono già usate dai repubblicani in chiave delle presidenziali del 2016. Da una parte denunciano la condiscendenza dell’amministrazione democratica di Barack Obama verso il regime iraniano, dall’altra l’allentamento dell’alleanza tradizionale tra gli Usa e Israele. I repubblicani hanno già reagito pesantemente all’ipotesi di un’intesa con l’invito a Netanyahu a parlare al Congresso e con la lettera inviata al regime iraniano per avvertirlo che l’amministrazione democratica non aveva titoli per firmare l’accordo, cosa non vera se si guarda alle prerogative presidenziali. Ci si può immaginare che ulteriori interventi politici ci saranno quando l’intesa sarà vagliata. Un primo elemento di interferenza ci sarà con la prossima visita dello speaker repubblicano della Camera, John Boenher, che andrà a breve in visita in Israele per testimoniare la propria vicinanza al popolo israeliano.

Quali le conseguenze geopolitiche in Medio Oriente dell’accordo? Questo mutato equilibrio non rischia di acuire ancora di più lo scontro tra sunnismo – in particolare l’Arabia Saudita – e sciismo? Qualche segnale arriva dallo Yemen.

Quel che è chiaro è che a Losanna nessuno cerca di mandare all’aria la trattativa: i nemici dell’accordo non sono al tavolo. L’Iran vuole sdoganare la sua credibilità internazionale e sottrarre l’economia al giogo delle sanzioni; Russia e Cina sono mallevadori dell’intesa; l’Occidente indulge alla prospettiva forse ottimistica di un Iran più aperto e moderato e, soprattutto, alleato nella guerra al terrorismo e al Califfato. Contro, oltre a Israele, che non si fida dell’Iran e che giudica l’accordo una minaccia, rema l’Arabia Saudita, che considera che la ritrovata credibilità internazionale dell’Iran indebolisca il suo ruolo d’interlocutore privilegiato degli Stati Uniti nell’area. Può uscirne un’ulteriore esasperazione delle tensioni tra sciiti e sunniti e c’è chi teme una corsa al nucleare nella Regione, come c’è chi rilancia l’idea che suona utopistica d’un Medio Oriente denuclearizzato.



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