Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo l’articolo di Cesare Maffi uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi
Si rimprovera a Matteo Renzi una riforma elettorale ad personam. È vero che oggi il suo partito è l’unico in grado di arrivare sicuramente al ballottaggio o addirittura di superare il 40% e vincere al primo turno. Inoltre la predeterminazione dei capilista, con elezione garantita, permette a R. di scegliersi deputati fedeli. In Italia le leggi elettorali si approvano per i vantaggi che a volta a volta procacciano a chi le propone.
La destra storica aveva collegi uninominali a doppio turno che favorivano i notabili e gli interventi del governo. Agostino De Pretis mutò la legge, introducendo (1882) un suffragio allargato (a favore della sinistra storica) e collegi plurinominali (anche questi più rispondenti alla sinistra). Dopo pochi anni, però, si tornò al vecchio sistema.
Nel 1919 la proporzionale in circoscrizioni plurinominali fu introdotta perché avrebbe favorito i socialisti e i cattolici. I liberali riuscirono soltanto a far passare il voto aggiuntivo per candidati fuori lista. La legge Acerbo, nel ’23, fu concepita per favorire una larga coalizione in una lista unita (il 65% dei seggi premiò il 60% dei voti ottenuti dal listone). La votarono, deputati in bassa percentuale aderenti al Pnf. Ovviamente la riforma elettorale successiva, riservante la scelta dei candidati al Gran consiglio, fu marcatamente a beneficio del regime già insediato: regolò i plebisciti del ’29 e del ’34, finché la creazione della Camera dei fasci e delle corporazioni non soppresse il voto popolare.
Perché la prima legge elettorale repubblicana fu proporzionale? Né i comunisti né i socialisti né i democristiani sapevano cosa sarebbe successo con un sistema maggioritario; il proporzionale era utile ai tre maggiori partiti perché evitava guai irreparabili. Va da sé che la cosiddetta legge truffa (tale non era, perché assegnava il 65% dei deputati a chi avesse ottenuto la maggioranza assoluta dei voti) giovava alla Dc e ai minori alleati centristi, e che non se ne avvantaggiarono per uno striminzito 0,2%.
Veniamo al mattarellum, 1993: uninominale a turno unico, per i tre quarti dei seggi. La Dc si illudeva di vincere al sud, la Lega al nord. Il Pds era pago della previsione di stravincere in due terzi dei collegi mercé le alleanze stipulate a sinistra e le lacerazioni nel fronte avverso. Fu Silvio Berlusconi a volgere a vantaggio dei moderati una legge altrimenti deleteria, sconfiggendo i progressisti capeggiati da Achille Occhetto.
Perché nel 2005 il Cav volle riformare le norme elettorali? Perché il permanere dei collegi uninominali, visti i disastri patiti alle elezioni europee, regionali e amministrative, avrebbe regalato alla sinistra (l’Unione) una tranquilla maggioranza di eletti. Il porcellum sarebbe servito, se non a vincere, a perdere meno: il centro-destra mancò la vittoria per lo 0,07%.