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Sky e 1992, com’era la stampa all’epoca di Mani Pulite

Il 1992 raccontato da Sky, comprensivo però di fatti accaduti in anni successivi, e al netto di una certa fantasia confessata dagli stessi autori della fortunata seria televisiva, ha il merito di avere stimolato, fra critiche e condivisioni, anche qualche ammissione utile a capire meglio quella stagione. Che segnò sicuramente una svolta nella storia del Paese, ma non esattamente quella che alcuni protagonisti immaginavano, compreso l’allora capo della Procura della Repubblica di Milano, Francesco Saverio Borrelli. Del quale Claudio Martelli, in quell’epoca ministro della Giustizia, è tornato in questi giorni a citare le clamorose “scuse” chieste agli italiani per “il disastro seguito a Mani pulite”, come furono chiamate le indagini su finanziamento illegale dei partiti, corruzione, concussione e ricettazione.

“Non valeva la pena di buttare il mondo precedente per cadere in quello attuale”, ha confessato Borrelli ottenendo il compiacimento di Martelli, inciampato pure lui fra le rovine, ma procurandosene anche le critiche. Già nel suo bel libro autobiografico “Ricordati di vivere” Martelli aveva lamentato un anno e mezzo fa “lo sciatto cinismo in quel verbo buttare”. Che è significato – aveva osservato l’ex guardasigilli – buttare un mondo fatto di essere umani, persone a vario titolo e in varia misura “buttate”, cioè rovinate dalle indagini della Procura di Milano, del suo capo Borrelli e dei suoi sostituti, a cominciare da Di Pietro”.

A dare una mano decisiva a quella rottamazione, per usare un termine caro a Matteo Renzi e ai suoi sostenitori, furono i processi mediatici, svoltisi ben prima di quelli legittimi nelle aule dei tribunali, ma questa volta con verdetti inappellabili. O con le assoluzioni giudiziarie giunte troppo tardi, e spesso ignorate dalla stampa. O, ancor peggio, contraddette, se il malcapitato avesse avuto la disavventura di rifinire sui giornali, o telegiornali, per sentirsi dare del “coinvolto”, senza neppure ricordare l’esito favorevole del processo o delle indagini subite a suo tempo. Indagini spesso non sfociate neppure nel rinvio a giudizio.

I processi mediatici sono stati, e sono tuttora, l’autentica vergogna del giornalismo giustizialista. Come vergognose furono le immagini degli arresti, diciamo così in diretta, segnalati in quel 1992 e anni successivi da solerti inquirenti, o dintorni, ad altrettanto solerti giornali e telegiornali, pronti a mandare fotografi e telecamere sul posto e al momento giusto. Si arrivò addirittura alla ripresa televisiva e fotografica di un imputato in barella, prelevato quasi di notte.

Ai vertici di giornali concorrenti si era presa in quella stagione persino l’abitudine di consultarsi ogni sera sui titoli e sulle notizie da sparare sulle prime pagine. Al pool dei magistrati impegnati a Milano, e poi anche altrove, nelle indagini su tangenti e quant’altro si accompagnava il pool dei cronisti giudiziari e dei loro direttori e capiredattori. Si deve ad uno di questi, Piero Sansonetti, allora all’Unità, l’onestà di averlo poi testimoniato.

Altrettanto onesta è l’ammissione fatta l’8 aprile scorso sul Giornale da Vittorio Feltri. Che, scrivendo appunto del 1992 trasmesso da Sky, e da lui vissuto alla direzione dell’Indipendente, ha raccontato dei suoi rapporti con Antonio Di Pietro e del ruolo di “trombettiere” svolto anche per salvare o ritardare la fine del proprio giornale, portandolo con le cronache di Mani pulite e i relativi commenti “da 20 mila ad oltre 55 mila copie”. “Se guidi una testata destinata al cimitero e scopri la terapia per tenerla in vita e rilanciarla, la applichi al meglio”, ha scritto Feltri. Che dopo, ma molto dopo, avrebbe scritto che Di Pietro, da lui aiutato ad essere “promosso eroe della giustizia dal popolo”, era un magistrato dotato di “una spavalderia al limite dell’arroganza” ed “esagerato” nel ricorso agli arresti.

Ma per le manette non bastavano le richieste di un sostituto procuratore, occorrendo anche giudici disposti ad accordarle, e perfino a suggerire all’inquirente – come si è poi scoperto in un caso rimasto senza conseguenze – cambi d’imputazione per poterle disporre. Senza conseguenze, dicevo, perché quel giudice nel frattempo era stato eletto dai suoi colleghi al Consiglio Superiore della Magistratura.

Anche questo, purtroppo, è stato il 1992, per non parlare dei suicidi, eccellenti e non. Almeno sotto certi aspetti giudiziari e mediatici, quella stagione è spiacevole da ricordare, diciamo pure orribile, nonostante i contorni festosi ed erotici offerti al pubblico dalla rievocazione televisiva.

Francesco Damato


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