Nuove tensioni tra il Cremlino e la Casa Bianca. Questa volta a scatenare le preoccupazioni di Washington non è la crisi di Kiev, ma lo sblocco, da parte di Mosca, della vendita dei missili S-300 all’Iran, precedentemente fermata.
MOMENTO DELICATO
Per molti osservatori la scelta russa è una vera e propria provocazione, perché arriva in momento delicato per Teheran. Solo pochi giorni fa, a Losanna, è stata raggiunto un faticoso accordo quadro tra la Repubblica Islamica e i mediatori del gruppo “5+1″ (Stati Uniti, Russia, Francia, Cina, Gran Bretagna più la Germania) per la sospensione di due terzi della capacità di arricchimento dell’uranio da parte di Teheran in cambio dell’alleggerimento delle sanzioni. Il compromesso finale dovrà però essere firmato entro il 30 giugno.
LA VOCE DELLA RUSSIA
Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha spiegato che la decisione di sospendere la fornitura era stata presa per “contribuire ai negoziati sul nucleare”. Ma dopo l’intesa preliminare trovata in Svizzera, l’operazione può a suo parere essere conclusa. Non solo. Secondo Reuters la Russia, in vista della cancellazione delle sanzioni, avrebbe già iniziato a fornire all’Iran grano e materiali da costruzione in cambio di petrolio. Solo affari, dunque.
TENSIONI INTERNE
Per gli Stati Uniti si tratta invece dell’ennesimo schiaffo di Putin al presidente americano Barack Obama, che rischia di avere gravi ripercussioni interne. L’accordo con l’Iran non è stato digerito dai Repubblicani, che controllano la maggioranza del Congresso e che hanno minacciato più volte di far saltare l’accordo, anche attraverso atti parlamentari al vaglio in queste ore.
LE PREOCCUPAZIONI DI ISRAELE E SUNNITI
Ma gli effetti dell’atto del Cremlino travalicano i confini americani. Israele si è sempre detta contraria a un’intesa nucleare con l’Iran a condizioni troppo deboli, proprio a causa della sua presunta inaffidabilità. Per il governo guidato da Benjamin Netanyahu, da poco riconfermato premier, la decisione della Russia non fa quindi che confermare la pericolosità dell’intesa raggiunta a Losanna. Ma un Iran più forte spaventa anche il mondo sunnita, con in testa l’Arabia Saudita. Un esempio è dato dalla situazione in Yemen. Nel Paese impazza la guerra tra i ribelli Houti e l’esercito regolare, che prova a difendere il fuggitivo presidente Abed Rabbo Mansour Hadi e quel che resta delle fragili istituzioni di Sana’a. Il conflitto è esacerbato dallo sfondo confessionale che oppone le parti in guerra nella regione, sciiti – come l’Iran – e sunniti, e che si configura sempre più come un braccio di ferro per il predominio geopolitico nella regione.