I recenti scandali che hanno travolto alcune cooperative rosse, dalla romana 29 giugno di Salvatore Buzzi all’emiliana Cpl Concordia, rischiano di ostacolare il percorso di unificazione delle tre centrali nell’Alleanza delle cooperative italiane, un’organizzazione capace di riunire 43mila imprese per 1,2 milioni di soci e 140 miliardi di euro di fatturato. Nella bufera giudiziaria – e nel conseguente tritacarne mediatico – ci sono finite quasi esclusivamente le imprese cooperative aderenti a Legacoop, l’associazione storicamente legata al Pci-Pds-Ds-Pd di cui fino a poco più di un anno fa è stato presidente nazionale l’attuale ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ultimo segretario del Pci di Imola.
LA BOTTA D’ORGOGLIO DELLE COOP BIANCHE
E’ dal mondo bianco di Confcooperative, tradizionalmente più vicino all’area cattolica ed ex democristiana, che arrivano nette prese di distanza da certi atteggiamenti, quasi a voler marcare una differente modalità di azione che non può certo essere annacquata nella confluenza dentro l’Aci. Il pericolo di venire accomunati ai riprovevoli comportamenti di altre singole cooperative, peraltro iscritte ad altre associazioni, è molto forte. Da qui la necessità di distinguersi, di segnalare una discontinuità tra un’organizzazione e l’altra, soprattutto nel momento in cui si progetta la fusione con la rossa Legacoop e con l’Agci che raggruppa le coop dell’area ex repubblicana.
LE BORDATE DI GARDINI
Vanno lette in quest’ottica le durissime dichiarazioni affidate dal presidente nazionale di Confcooperative, il romagnolo Maurizio Gardini, a Dario Di Vico del Corriere della Sera. “Con tutto il rispetto che posso avere delle decisioni della Legacoop – ha detto il numero uno delle coop bianche – penso che la cooperativa modenese andrebbe sospesa dall’associazione di rappresentanza per responsabilità oggettiva e mancato controllo, da parte del Cda prima e dei soci poi, dell’operato dei propri amministratori”. E questo perché “non possiamo tollerare zone grigie e non possiamo sospendere, a cose fatte, i soli amministratori”. Gardini di stare nella stessa organizzazione con una cooperativa che ha collaborato con la camorra, come ipotizza la magistratura, non ne vuole sapere. “E’ una contraddizione che non possiamo sopportare”. Dunque, “sbagliano quei dirigenti della cooperazione che giustificano a posteriori l’illegalità dicendo che lo hanno fatto per difendere il lavoro, invece hanno tolto lavoro e reddito alle imprese oneste”.
STOP AL FINANZIAMENTO DELLA POLITICA
Non è finita, perché il presidente di Confcooperative chiede anche “lo stop al finanziamento alla politica”, considerato “una procedura lecita ma che ha dato vita ormai a troppi equivoci”. Impossibile non pensare ai vini acquistati dalla Cpl Concordia dall’azienda della moglie di Massimo D’Alema, ma anche a quei 20mila euro versati in campagna elettorale dalla Cpl al sindaco di Bologna, Virginio Merola, ai 10mila per il collega di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, e ai 2.000 per la prima cittadina di San Lazzaro, Isabella Conti, unica ad averli restituiti.
LE COOP BIANCHE CHIEDONO CARRIERE SEPARATE
O in politica o nelle associazioni di cooperative. Senza porte girevoli. E’ questa la richiesta che Confcooperative avanza nemmeno troppo velatamente ai “cugini” di Legacoop. Gardini lo fa capire tra le righe, il presidente di Confcooperative Emilia-Romagna, Francesco Milza, nel presentare i dati sul 2014 dell’organizzazione lo chiarisce in maniera più diretta: “Il problema – dice – non sono i codici etici, ma essere consapevoli del ruolo che si ricopre. La politica rappresenta la politica, le imprese cooperative sono un soggetto economico. Sarebbe meglio evitare qualsiasi tipo di sovrapposizione, comprese quelle che riguardano le persone perché gli andirivieni da una parte all’altra non sono positivi. Su un discorso chiaro di separazione dei ruoli è auspicabile per tutti che si faccia chiarezza”. Nessun riferimento però al ministro Poletti, perché “quando uno prende una strada, prende una strada, lui ha deciso di fare politica e gli auguro un lungo percorso”.
IL CASO BOLOGNESE
Difficile però di fronte a queste parole non pensare a quanto accade proprio a Bologna, dove l’assessore regionale all’Agricoltura, Simona Caselli, è una dirigente di Legacoop nazionale ed è stata chiamata in giunta dal governatore Stefano Bonaccini dopo aver presieduto prima Legacoop Reggio Emilia poi Legacoop Emilia Ovest. Senza dimenticare l’ex senatrice del Pd Rita Ghedini, vicepresidente di Legacoop Bologna dal 2002 al 2008, poi eletta a Palazzo Madama coi Dem quindi dimessasi nell’ottobre scorso dopo un anno e mezzo di legislatura per andare a fare la presidente sempre di Legacoop Bologna.
(nella foto i vertici dell’Aci: Gardini di Confcooperative, Mauro Lusetti presidente nazionale di Legacoop e Rosario Altieri dell’Agci)