Renato Altissimo fu l’ultimo vero segretario del Partito Liberale Italiano, dal 1986 al 1993, pur essendogli succeduto Raffaele Costa per gestire solo l’appendice di quello che era stato il Pli della cosiddetta Prima Repubblica. Un’appendice derivata dal nubifragio di Tangentopoli, che aveva travolto anche Altissimo per un finanziamento illecito, e onestamente ammesso, di 200 milioni di lire.
Ciò avrebbe poi procurato ad Altissimo una condanna a otto mesi di carcere, per quanto virtuale, da lui mai digerita né politicamente né psicologicamente. Egli rimase convinto sino alla morte, appena avvenuta nel Policlinico Gemelli di Roma, di essere rimasto vittima di una vicenda giudiziaria solo di nome, al pari degli altri leader dei partiti di governo dell’epoca di Mani Pulite, come si chiamò l’indagine esplosa a Milano sul finanziamento illegale della politica e sui reati di corruzione, ricettazione e concussione, abitualmente contestati dai pubblici ministeri a monte o a valle delle tangenti ai partiti.
Altissimo soleva chiamare colpo di Stato quella vicenda giudiziaria, scrivendone in un libro di memorie dichiaratamente destinato, più ancora che al pubblico, ai suoi nipoti. Dei quali egli temeva un giudizio condizionato dai racconti solo dei vincitori della partita politica giocatasi dietro, sopra, sotto e nelle indagini, o nei processi in tribunale.
Data la generale, e unanimemente riconosciuta, diffusione del fenomeno del finanziamento illegale dei partiti, provocato secondo lui dalle dimensioni ipocritamente modeste degli stanziamenti pubblici, almeno rispetto alla spese arcinote delle forze politiche e delle rispettive correnti, Altissimo trovò unidirezionale il percorso delle inchieste giudiziarie. Che secondo lui avrebbero dovuto sfociare, per coerenza, in una generale incriminazione del sistema politico come associazione a delinquere. Cosa alla quale invece i magistrati si guardarono bene dall’approdare, selezionando le parti e gli uomini da colpire.
Questa, dell’esponente liberale, era un po’ anche l’opinione di Francesco Cossiga, che di Altissimo fu non a caso amico molto stretto, vantandosi di esserne spesso ospite nella casa delle vacanze negli anni successivi alla sua Presidenza della Repubblica.
Altissimo fu in liberale malagodiano, fedele cioè alla linea di Giovanni Malagodi, a lungo segretario e leader del Pli prima di lui, nel rifiuto di una scelta in direzione della “Grande Destra” reclamata dall’allora Movimento Sociale. Ma superò Malagodi, condividendo la linea scelta da Valerio Zanone, altro suo storico predecessore alla guida del Pli, quando si trattò di aprire ai socialisti. Ciò accadde, in particolare, con l’arrivo di Bettino Craxi alla guida del Psi, con il rifiuto dell’appiattimento sulle posizioni comuniste, praticato dal predecessore Francesco De Martino, e con l’offerta ai liberali di concorrere alla maggioranza di centrosinistra. Che da quadripartito, fatto da Dc, Psi, Psdi e Pri, divenne pentapartito.
L’esordio di questa nuova maggioranza fu costituito nel 1979 dal primo governo di Francesco Cossiga, di cui Altissimo fu ministro della Sanità, per diventare poi ministro dell’Industria, e anche successore di Zanone alla guida del Pli, quando il primo governo vero e proprio di pentapartito fu realizzato da Craxi, nel 1983.
Nessuno allora poteva certo immaginare, a cominciare dallo stesso Craxi, che solo dieci anni dopo quello scenario politico, che sembrava compendiare felicemente le lunghe stagioni repubblicane del centrismo e del centrosinistra, sarebbe diventato preistorico.