Il Muos, l’impianto americano per comunicazioni satellitari costruito all’interno della base militare di Niscemi, in provincia di Caltanissetta, resta sotto sequestro. Proseguono dunque gli stop per la struttura, dopo che il Tribunale del riesame di Catania ne ha convalidato ieri il sequestro penale, respingendo il ricorso del ministero della Difesa, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, contro il sequestro disposto lo scorso primo aprile dal tribunale di Caltagirone.
Una situazione che se da un lato fa esultare i comitati del “no”, che nel tempo si sono opposti alla realizzazione dell’impianto, dall’altro ha importanti conseguenze politiche, legali ed economiche.
Sono otto, al momento, gli indagati dell’inchiesta, che coinvolge ora la stessa realizzazione della struttura: l’ex dirigente dell’assessorato regionale al Territorio e Ambiente Giovanni Arnone, nella sua qualità di responsabile del procedimento autorizzativo, i titolari di cinque ditte che hanno partecipato ai lavori, il direttore del cantiere Giuseppe Leonardi e un militare americano.
Al centro del nuovo provvedimento sollecitato dalla Procura di Caltagirone, coordinata da Giuseppe Verzera, ed emesso dal Gip Salvatore Ettore Cavallaro, c’è infatti la “novità” arrivata nel febbraio scorso dal Tar di Palermo che ha annullato tutti i permessi per realizzazione della struttura in un’aerea sottoposta a vincoli di rispetto ambientali con inedificabilità assoluta. In parole povere in quel posto non si poteva costruire. Una motivazione che suona paradossale a uno degli indagati, Carmelo Puglisi, titolare di un’impresa di Catania, la PB Costruzioni.
“Fa ridere il fatto che si blocchino ora lavori terminati già da anni. Quando la struttura ha subito il primo sequestro e io ricevuto l’avviso di garanzia, tempo fa, la struttura era già bella e finita“, spiega l’imprenditore a Formiche.net.
Nella costruzione del Muos la ditta di Puglisi si è occupata di fornire il cemento armato, lavorando in sub-appalto per una cifra vicina ai 300 mila euro (su un totale di circa 1 milione di euro). “Non comprendo questo accanimento che complica la vita solo a chi ha lavorato e non a chi all’epoca aveva dato l’autorizzazione ad effettuare i lavori e oggi, invece, vi si oppone clamorosamente“.
Per il titolare della PB Costruzioni sono diversi gli aspetti che non tornano nella vicenda. “Temo ci si trovi di fronte all’ennesima storia italiana. Quando anni fa sono iniziati i lavori, tutte le autorizzazioni erano in regola, comprese quelle del Comune di Niscemi e della Regione Sicilia, che allora non s’opponevano affatto alla realizzazione della struttura. Come potevamo pensare che ci fossero dei vincoli sull’area se Regione e Comune ci davano il via libera? Sarebbe stato ridicolo. Ma la realtà, a volte, supera la fantasia“.
Ma cosa ha spinto allora Comune e Regione a un cambio così radicale d’opinione? “Sicuramente ragioni d’opportunità politica“, risponde Puglisi. “Quando si sono resi conto che c’era un po’ di malcontento hanno fatto dietrofront, ma ormai la struttura era realizzata“. Qualcuno, conclude l’imprenditore, “ha voluto cavalcare l’onda mediatica e politica della faccenda, trascinandoci dentro anche la magistratura“.
Per la Procura di Caltagirone gli ultimi avvenimenti costituiscono in effetti una svolta giudiziaria: come ricordato da Puglisi, non si pone più il problema sulla legittimità delle autorizzazioni, perché non esistono più. Una tesi al momento confermata anche dal Consiglio amministrativo regionale di Palermo, il “secondo grado” del Tar in Sicilia, che non ha ritenuto esistessero i presupposti per un’ordinanza che annullasse in via cautelare il provvedimento dei giudici amministrativi di primo grado. L’udienza nel merito davanti al Consiglio di giustizia amministrativa è fissata per il prossimo 8 luglio: un tempo tuttavia lunghissimo per molti osservatori, come il politologo Angelo Panebianco, che in un editoriale sul Corriere della Sera ha rilevato la strategicità della struttura e la necessità che sia il governo in persona a intervenire per risolvere quanto prima un dossier che rischia di avere spiacevoli conseguenze non solo domestiche, ma anche internazionali.