La paura schizzata alle stelle dopo il mancato attentato a Garland, Texas, è stato solo un antipasto, indigesto, del terrore che i seguaci dell’Isis intendono seminare negli Stati Uniti. O almeno di quello che proclamano di voler fare. Per la Casa Bianca (di colore democratico) è ancora troppo presto per dire se esista un legame tra i drappi neri e gli attentatori al concorso di vignette su Maometto, tanto più perché finanziato da un personaggio controverso come la miliardaria ultra conservatrice Pamela Geller. Ma la notizia della possibile presenza di 71 soldati addestrati dal gruppo posizionati in 15 Stati americani in attesa di ordini – diffusa dai media a stelle e strisce – ha sollevato nell’opinione pubblica un’altra domanda, forse ancor più rilevante: la propaganda del “califfo” al-Baghdadi sta facendo breccia anche negli Usa?
L’ANALISI DI PASOLINI ZANELLI
“Che lo Stato Islamico possa organizzarsi negli Stati Uniti“, spiega a Formiche.net un giornalista di lunghissimo corso come Alberto Pasolini Zanelli, “è una forzatura nata nelle stanze del Partito Repubblicano e che va confinata nella categoria della propaganda“. Già inviato speciale di esteri e corrispondente dagli Stati Uniti per i quotidiani del gruppo Monti-Riffeser e per il Giornale di Montanelli, e ora editorialista del quotidiano Italia Oggi, Pasolini Zanelli ritiene che – visto l’inizio della campagna elettorale – l’argomento sia ormai soggetto a strumentalizzazioni. Però, aggiunge, “ciò non vuol dire che il jihadismo non costituisca un problema“. La pubblicità fatta dall’Isis “attecchisce facilmente su soggetti deboli, che diventano poi lupi solitari difficilmente controllabili“, commenta.
IL COLLEGAMENTO
Per molti addetti ai lavori, quel che è accaduto a Garland ne è un esempio. A parte la quasi scontata rivendicazione del gruppo estremista, esistono chiari segnali pubblici di una vicinanza di ideali con i drappi neri di almeno uno dei due uomini che hanno aperto il fuoco, Elton Simpson. Nelle settimane precedenti al “tentato attentato terroristico”, come lo ha definito ieri la Casa Bianca, Simpson ha chiaramente esposto le sue idee su Twitter, dove tra i contatti aveva Junaid Hussain, un combattente britannico dell’Isis conosciuto come Abu Hussain al-Britani, e Mohamed Abdullahi Hassan, un americano di origini somale, conosciuto come Mujahid Miski, ora in Somalia, da dove inneggia allo Stato islamico.
IL BRAND ISIS
Il nodo è l’efficacia dei controlli. Al di là delle singole connessioni, l’episodio pare confermare che l’Isis è ormai un vero e proprio marchio riconosciuto, diffuso e “apprezzato” dai jihadisti di mezzo mondo e quelli statunitensi non fanno eccezione. Per Omer Taspinar, esperto di Islam e Medio Oriente del Brookings Institution, “l’Isis e il suo califfato stanno diventando un brand, più ampio persino di una rete come al-Qaeda“. “È come un’appartenenza spirituale. Rivendicare un’azione non indica necessariamente un legame organizzativo“. In passato, anche al-Qaeda ha rivendicato delle azioni compiute negli Stati Uniti, ma ha sempre esercitato un maggiore controllo sugli attentati. Lo Stato Islamico, invece, sottolinea J. M. Berger, coautore del libro “Isis: The State of Terror”, è un movimento “populista“, meno “schizzinoso” rispetto al più “elitario” gruppo fondato da Osama Bin Laden, responsabile della strage dell’11 Settembre 2001 e influencer dell’attentato alla Maratona di Boston nel 2013.
LA POLEMICA
La polemica, negli Usa, si è concentrata, invece, soprattutto sul fatto che Simpson, nato in Illinois, convertitosi all’Islam ai tempi del liceo, fosse noto dal 2006 all’Fbi, che nel 2010 lo aveva accusato di terrorismo. Le autorità sospettavano che volesse andare a combattere in Somalia, ma il ragazzo fu condannato a tre anni con la condizionale solo per aver mentito agli agenti sui suoi piani di viaggio, perché il giudice sentenziò che il governo non aveva le prove sulla volontà di Simpson di unirsi agli estremisti. Secondo un funzionario sentito dal New York Times, non pareva che Simpson si stesse preparando per un’azione violenta, eppure lo ha fatto, anche perché, secondo Pasolini Zanelli, sul fronte repubblicano il jihadismo non è un tema caldo come nel recente passato. “Il Gop – spiega la firma di esteri – si è concentrato molto più sull’Iran e sul sostegno a Israele, ultimamente, abbassando forse la guardia sull’argomento. Ora, dopo quello che è accaduto in Texas, potrebbe tirarlo fuori nuovamente con forza“. Se controllare tutti non è certo possibile, allertano i media conservatori, riaccendere i riflettori sul terrorismo islamico deve tornare una priorità, anche in vista delle presidenziali del prossimo anno.