Mai come dalla seconda metà del 900 la scienza ha avuto un’importanza così rilevante nella vita quotidiana di tutti noi. Infatti, le nostre sono a tutti gli effetti società della conoscenza e senza scienza non ci sarebbe sviluppo economico, aumento del benessere, incremento delle aspettative di vita, riduzione a livello mondiale del tasso di povertà, allargamento di fatto della democrazia su scala planetaria.
Proprio per questo, soprattutto nel mondo Occidentale, la scienza e gli scienziati sono chiamati ad un confronto costante con la complessità delle richieste dell’opinione pubblica. La nostra è una società della conoscenza ma ancora di più una società dell’informazione e della libertà di espressione. Ognuno ha il diritto di essere informato su tutto. E sempre più ogni cittadino ha la possibilità di far sentire la propria voce e di mettere in discussione ogni cosa: anche di criticare la scienza e i ricercatori.
Del confronto tra scienziati, opinione pubblica e mezzi di comunicazione tratta il libro “ Parola di scienziato: la conoscenza ridotta ad opinione” curato da Francesca Dragotto, Professoressa di Glottologia e linguistica all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, e da Marco Ferrazzoli, Giornalista e Capo Ufficio Stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr).
Il libro si compone di due parti. Nella prima due saggi, scritti dai curatori del libro, in cui vengono discusse le basi teoriche, poste le domande e cercate le chiavi interpretative.
E’ nella prima pagina del saggio di Ferrazzoli che viene esposto il problema:
“La conoscenza non è più considerata un valore intangibile e la parola dello studioso, dello scienziato, di chi detiene le competenze tende a sfumare in un mero parere. Uno dei tanti. Lo scopo di questa pubblicazione è illustrare, attraverso alcune buone e cattive pratiche, come la divulgazione incida in tali processi: in negativo quando attiva fenomeni di banalizzazione e fraintendimento; in positivo “come condizione essenziale per capire e quindi per partecipare. La democrazia non può basarsi sull’ignoranza dei problemi”
Da questa considerazione deriva un corollario: come parlare di scienza in una società della sfiducia e del complotto? Il dovere della comunicazione è quello di sviluppare un criterio valido per la corretta rappresentazione di argomenti che prevedono competenze specifiche come appunto in scienza.
Ma questa considerazione porta inevitabilmente ad affrontare un altro problema discusso nel saggio di Dragotto: “Alla stregua di una lente di ingrandimento, chi comunica, in generale e quindi anche di scienza, finisce inevitabilmente col rendere una immagine virtuale, dritta e ingrandita di ciò di cui parla”. Non esiste neutralità della presentazione. Inoltre” la rappresentazione fatta dal comunicatore influenza la pubblica opinione e al tempo stesso il comunicatore desidera, magari non consapevolmente, di “piacere” al lettore”.
Queste problematiche vengono esplicitate in 8 contributi, scritti per l’occasione da comunicatori e giornalisti scientifici molti dei quali hanno avuto la possibilità di confrontarsi con i temi della ricerca lavorando presso l’ufficio stampa del CNR. Otto articoli che affrontano i casi mediatici più importanti che si sono verificati in Italia in questi anni. Otto casi da cui emerge la complessità della relazione tra scienza – divulgazione scientifica e opinione pubblica. Si va dal problema dei vaccini, l’alimentazione bio, la sperimentazione animale, la previsione dei terremoti e il caso de L’Aquila, il bosone di Higgs,il global warming, l’omeopatia e infine Stamina.
Ogni caso viene presentato cercando di ricostruire i fatti e le posizioni spesso contrapposte tra scienza e frange più o meno larghe della popolazione, cercando di non prendere posizione ma semplicemente di far emergere, con metodo quasi scientifico, i tratti distintivi del problema.
Il libro si chiude con un capitolo intitolato “Scienza, ci si può fidare?” di Luciano Celi. Un contributo che affronta le basi del metodo e della pubblicazione scientifica e dei meccanismi di valutazione. Ma anche, e soprattutto, delle frodi che spesso più spesso vengono fatte dagli scienziati per pubblicare bene. Da cosa nascono? Perché vengono fatte? Quante sono in percentuale sul numero impressionante di pubblicazioni scientifiche (più di 1 milione) che vengono fatte ogni anno? E, infine, quanto male fanno alla scienza quando vengono amplificate dai mass media diminuendo la credibilità degli scienziati e diffondendo l’idea del sospetto?
Un ottimo libro per chi vuole approcciare queste problematiche.
Mi sento di sollevare un solo appunto. Manca il “che fare?”. Una proposta per cercare di risolvere il problema. Oggi la comunità scientifica è costretta dalle agenzie di valutazione e di finanziamento a porsi il problema del rapporto con l’opinione pubblica. Negli ultimi bandi per richieste di finanziamento i ricercatori devono spiegare le strategie che metteranno in campo per sviluppare una ricerca non solo per la società, come è sempre stato, ma aperta agli input della mondo esterno. Una crescente domanda di democrazia che rappresenta una sfida per gli scienziati.