“Elaborare forme di partecipazione dei lavoratori dipendenti in tutte le banche popolari, a partire da quelle destinate a trasformarsi in società per azioni”.
È l’obiettivo che anima il “comitato scientifico” costituito dalla federazione dei bancari UIL per “tutelare la missione mutualistica e territoriale” degli istituti creditizi coinvolti nel controverso decreto legge del governo Renzi. Provvedimento che la Regione Lombardia mira a far bocciare per incostituzionalità tramite un ricorso alla Consulta.
Un’iniziativa aperta a tutte le Popolari
Guidata dall’ex leader storico della confederazione di Via Lucullo Giorgio Benvenuto, l’iniziativa è partita nella Banca Popolare di Milano: realtà di spicco della galassia finanziaria con vocazione territoriale, e che da tempo valorizza il protagonismo dei lavoratori nelle scelte strategiche.
L’obiettivo, spiega a Formiche.net il segretario della UILCA Massimo Masi, riguarda tuttavia l’intero universo delle Popolari. Comprese le banche che registrano un attivo inferiore agli 8 miliardi di euro e che non sono vincolate a mutare il proprio regime giuridico.
Un modello partecipativo
L’orizzonte che guida l’azione del comitato, rileva il rappresentante sindacale, è la partecipazione attiva dei lavoratori alla vita delle imprese: “Renderli soci di istituti come BPM comporta il loro coinvolgimento in un ruolo più responsabile nella banca. La prospettiva sarebbe ben diversa dalla compravendita di azioni secondo la logica del guadagno nel breve termine”.
Lungi dal richiedere un posto nei consigli di amministrazione per i dipendenti delle Popolari, i promotori rivendicano il legame profondo tra produttività, rendimento e strategia che dovrebbe caratterizzare un tessuto economico sano. E puntano a colmare le lacune di una legislazione nazionale che “non prevede la facoltà di conferire a un trust comune le azioni dei lavoratori-soci”.
Un fronte variegato
Aperta all’adesione di tutte le organizzazioni sindacali, l’iniziativa ha alimentato interesse negli istituti territoriali i cui lavoratori non sono soci né azionisti, dalle più grandi a quelle più vicine alle banche di crediti cooperativo.
E ha registrato il consenso di un mondo eterogeneo per orizzonte politico-culturale. Fronte che include l’ex presidente di Banca Akros-gruppo BPM Graziano Tarantini – vicino a Comunione e Liberazione in rappresentanza del mondo cooperativo cattolico – il parlamentare della minoranza del Partito democratico Stefano Fassina – fiero avversario della filosofia ispiratrice del provvedimento governativo – e l’ex consigliere della Popolare di Milano Michele Zefferino.
La paura di una mutazione genetica delle Popolari
L’elemento principale che li accomuna è il giudizio fortemente critico nei confronti del cambiamento giuridico-statutario imposto da Palazzo Chigi.
Il timore è la metamorfosi delle banche mutualistiche. La perdita, rimarca Masi, della loro vocazione cooperativistica e dell’attenzione al territorio: “Missione che invece potrebbe essere preservata e rilanciata grazie alla partecipazione dei lavoratori-soci”.
I rischi del nuovo regime giuridico
Al contrario – evidenzia l’esponente confederale – l’applicazione integrale delle nuove regole aprirebbe le Popolari all’ingresso di gruppi stranieri che potrebbero arrivare, acquistare azioni e andarsene con i profitti realizzati. “E provocherebbe 20mila esuberi del personale, che non verrebbero riassorbiti”.
Vantaggi e incognite delle fusioni bancarie
Il percorso di aggregazioni e acquisizioni partito nel mondo delle banche popolari grazie alle misure promosse dal governo potrebbe favorire un rinnovamento virtuoso con riflessi positivi per gli stessi lavoratori?
La risposta di Masi è improntata a scetticismo. Da un lato egli riconosce che le nuove norme favoriscono “lo svecchiamento di una classe dirigente che non ha saputo rinnovarsi rinunciando a ogni progetto di auto-riforma”.
Dall’altro ricorda come non sempre le fusioni aziendali producono ricadute benefiche per l’economia reale: “Nelle Popolari molti ragionano ancora secondo la logica individuale e non ricercano l’interesse collettivo. Per ora riscontro molto chiacchiericcio e nessuna proposta costruttiva. La stessa UBI vede il 30 per cento di azionisti molto prudenti sulle prospettive di aggregazione”.