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Tutti i minuetti di Renzi e Boeri su pensioni e poveri

Cantiere ancora aperto sulla previdenza nel governo. Dopo il decreto che ha previsto il rimborso parziale dopo la sentenza della Corte costituzionale, ieri sera il premier Matteo Renzi a Porta a Porta ha detto: “L’impegno del governo è chiaro ed è: liberiamo dalla Fornero quella parte di popolazione che accettando una piccola riduzione può andare in pensione con un po’ più di flessibilità. L’Inps deve dare a tutti la libertà di scelta”.

CHE COSA DICE BOERI

Nella veste di presidente dell’Istituto nazionale di previdenza sociale Tito Boeri rappresenta la più alta autorità amministrativa coinvolta nel problema del rimborso delle pensioni non indicizzate dalla riforma Monti-Fornero. Tema che continua ad alimentare giudizi contrastanti tra economisti ed esperti. Ma che per l’economista fondatore de La Voce.info, e ora presidente dell’Inps, “non può venire scaricato sulle spalle delle nuove generazioni in spregio dei principi di equità”.

LE PROPOSTE DEL PRESIDENTE INPS

Nel corso dell’audizione presso la Commissione Affari sociali della Camera, Boeri ieri ha sfiorato il terreno di un’iniziativa riformatrice del regime pensionistico. Limitandosi a ribadire la propria adesione a una fuoriuscita flessibile dal lavoro “vincolata al modello contributivo”. E rivendicando l’esigenza di riallineare i trattamenti più elevati ai contributi effettivamente versati nel corso della vita lavorativa: “Perché è intollerabile e non assimilabile ai diritti acquisiti ricevere assegni alti avendo erogato poche risorse per la previdenza. Come accaduto per gran parte dei vitalizi a favore del mondo politico”. La stessa realtà – evidenzia l’economista – che ha rifiutato per anni di far conoscere ai cittadini gli effetti del passaggio al regime contributivo, meno generoso rispetto a quello retributivo precedente, per paura di perdere il consenso popolare”. 

COME FRONTEGGIARE LA POVERTA’ SECONDO BOERI

L’intervento di Boeri nell’organismo parlamentare ha toccato l’altro capitolo che rientra nelle competenze dell’INPS: gli strumenti assistenziali per fronteggiare la povertà. Fenomeno che presenta cifre eloquenti: “Nei 6 anni della crisi economica le persone indigenti sono aumentate da 11 a 15 milioni, e le famiglie che si trovano al di sotto della soglia di grave disagio sociale sono passate dal 18 al 25 per cento con una riduzione di reddito pari al 27”. Un risultato che non era inevitabile: “Altri paesi, con una crisi di entità comparabile alla nostra, non hanno subito incrementi dei tassi di povertà”. Ciò vuol dire che in Italia manca una rete di trasferimenti di risorse alle famiglie in grado di contrastare con efficacia il problema: “Appena il 3 per cento delle prestazioni assistenziali va a favore del 10 per cento più svantaggiato”. Il Welfare nazionale, per molto tempo e da tanti sbandierato come esempio di protezione sociale universale, non raggiunge i più poveri.

IL GIUDIZIO SU PALAZZO CHIGI

Ma come rispondere alle loro richieste? Boeri è convinto che affrontare “la vera emergenza del nostro paese” richieda fondi adeguati. E per tale ragione apprezza la scelta del governo Renzi di non restituire la somma integrale prevista dalla sentenza della Corte Costituzionale in tema di pensioni: “Per rispettarla alla lettera erano necessari 18 miliardi, cifra che renderebbe impraticabile ogni seria lotta contro la povertà”.

GLI INTERVENTI IN CANTIERE

L’attenzione dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, rimarca lo studioso, è rivolta alla fascia dei “nuovi poveri”: le persone tra i 55 e i 65 anni che perdono il lavoro e non hanno chance di ritrovarlo. Entro fine giugno l’INPS metterà a punto un complesso di proposte  che prevedono un’integrazione ai guadagni di individui e famiglie per evitare il rischio indigenza. “E che possono essere realizzate immediatamente con le forze e le energie dell’organismo pubblico”.

REDDITO MINIMO E REDDITO DI CITTADINANZA

Spetterà al governo accettare e dare il via libera al progetto. Così come è competenza delle autorità politiche, ricorda Boeri, predisporre un reddito minimo lavorativo per coloro che hanno meno di 35 anni. Reddito minimo legato a un’attività professionale, dunque. Non il reddito di cittadinanza prospettato dal Movimento Cinque Stelle e ripreso dal governatore della Lombardia Roberto Maroni per garantire in modo generalizzato un livello di vita dignitoso ancorato alla ricerca di occupazione. Ma un tassello pur sempre fondamentale, specie se coniugato con il pacchetto anti-povertà, verso un Welfare capace di proteggere le persone bisognose e le giovani generazioni anziché i ceti a lungo privilegiati da una spesa pubblica irresponsabile e da uno statalismo elefantiaco e clientelare.


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