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Cosa ha detto la Chiesa italiana sul voto in Irlanda pro matrimoni gay

“Su questi temi prevale un delirio dell’emotività e un sonno della ragione”, ha detto mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, commentando al Corriere della Sera il risultato del referendum che in Irlanda ha legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso. “Il problema serio è che si vogliono dare risposte semplificate a una realtà complessa. Quando c’è in ballo la persona, la complessità è già lì. Si figuri se sono due”, ha aggiunto.

“SEMBRA CHE LE FAMIGLIE COSTITUZIONALI SCUSARSI DI ESISTERE”

Il punto di partenza, a giudizio di Galantino, dovrebbe essere che nel “guardare realtà e diritti si superasse un certo strabismo. Che in politica e sui giornali si parlasse anche della famiglia costituzionale, e alle famiglie fatte di padre, madre e figli si dedicassero almeno le stesse attenzioni ed energie rivolte ad altri tipi di unioni. In fondo sono la stragrande maggioranza, no?”. Il punto è che “In certi ambienti ideologizzati sembra quasi che le famiglie costituzionali debbano chiedere scusa di esistere. C’è la tendenza a farle apparire come il luogo dove avviene tutto il male possibile, mentre altre forme di unioni sono dipinte come il paradiso in terra”.

“IL VESCOVO NON LANCIA ANATEMI, MA ARGOMENTA”

La soluzione è il dialogo, il cammino sinodale: “La Chiesa non accetta equiparazioni tra le unioni omosessuali e quella che non chiamerei famiglia tradizionale, ma costituzionale. Tuttavia – il presule già vescovo di Cassano all’Jonio – il vescovo non lancia anatemi e piuttosto argomenta, il recupero della ragione è importante, chiedendo un confronto libero da forzature ideologiche”.

“LA CHIESA DEVE FARE LA SUA PARTE”

Se in Italia accadesse quel che è accaduto in Irlanda, “la Chiesa dovrebbe semplicemente ricordare che la famiglia è fondamento, principio originario della società e dello Stato. E deve parlare della bellezza del sacramento del matrimonio”, ha spiegato in un’intervista a Repubblica l’arcivescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi, segretario della Conferenza episcopale italiana per l’Educazione cattolica, la scuola e l’università. “Più volte la Chiesa italiana ha ribadito come un conto è il rispetto per tutte le persone e per i loro legittimi diritti, un altro è parlare di nozze gay”, ha aggiunto il presule, che non si fa troppe illusioni su un risultato diverso da quello di Dublino nel caso di analogo referendum qui.

I PRECEDENTI ITALIANI DEI REFERENDUM SU ABORTO E DIVORZIO

Non è detto, insomma, che le aspettative della Chiesa abbiano la meglio, ma dopotutto “fu già così in occasione dei referendum sull’aborto e il divorzio. La Chiesa però deve fare la sua parte, nel senso che deve ricordare ciò che per lei è importante”. Se poi “la maggioranza della popolazione esprime un parere contrario a ciò che la Chiesa suggerisce e pensa, significa che maggiore deve essere lo sforzo educativo da parte della stessa Chiesa, che deve essere capace di motivare sempre le proprie convinzioni”.

“LA RIVOLUZIONE CULTURALE” DI DUBLINO

Alla Stampa ha parlato l’arcivescovo di Dublino, mons. Diarmuid Martin, il quale ha definito la svolta irlandese una “rivoluzione culturale”. “Ho capito che avevano vinto i sì quando ho visto che l’affluenza era molto alta. Ai seggi c’era la fila fin dalle prime ore di apertura. Addirittura molti giovani che lavorano fuori sono rientrati in Irlanda per votare”. Martin è stato accusato da alcune frange della destra cattolica di non essersi speso a sufficienza per contrastare l’onda lunga che spingeva per il sì. Lui replica che “la Chiesa deve chiedersi quando è cominciata questa rivoluzione culturale e perché alcuni al suo interno si sono rifiutati di vedere questo cambiamento”. Il punto chiave, dice, è cercare il punto di contatto tra la Chiesa cattolica e i centri in cui si forma la cultura irlandese di oggi. Quanto ai cambiamenti pratici, “nelle scuole cattoliche gli insegnanti di educazione civica saranno obbligati a dire che il matrimonio è anche tra persone dello stesso sesso”.

LA PROLUSIONE DI BAGNASCO

Sulle unioni civili, per molti preludio al matrimonio tra persone dello stesso sesso, si era espresso con toni duri il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, nella prolusione tenuta martedì scorso. Il punto dolente, aveva detto l’arcivescovo di Genova, sta nel fatto che il testo in discussione “ancora una volta conferma la configurazione delle unioni civili omosessuali in senso matrimoniale”. Una equiparazione che viene sì descritta senza usare la parola “matrimonio”, ma è inequivocabile, dal momento che “le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’, ‘marito’ e ‘moglie’ si applicano anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso”. E tale equiparazione, ha detto ancora Bagnasco, “riguarda anche la possibilità di adozione, che per ora si limita all’eventuale figlio del partner”, ma che in seguito “sarà estesa”.


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