Toscana, Umbria e Marche: ecco qua le tre regioni rosse che non dovrebbero dare particolari preoccupazioni al premier Matteo Renzi. Nel centro Italia il vero avversario del Pd è infatti il “partito” trasversale degli astensionisti, soprattutto dopo il campanello d’allarme suonato a fine novembre in Emilia-Romagna, quando in una delle terre storicamente più inclini alla partecipazione elettorale si è presentato al voto il 38% appena degli aventi diritto.
IN TOSCANA L’ASSOLO DI ROSSI E LA BATTAGLIA DENTRO FI
Come ha scritto il Corriere della Sera due giorni fa, in Toscana la vera battaglia si gioca dentro Forza Italia tra Denis Verdini e Deborah Bergamini. Il senatore ormai ex plenipotenziario azzurro per ora ha registrato alcune sconfitte: inizialmente voleva puntare sul presidente della Camera di commercio di Grosseto, Giovanni Lamioni, in accordo Area Popolare, tanto che il verdiniano coordinatore regionale di Fi Massimo Parisi si era speso in dichiarazioni ufficiali. Giudicato però non abbastanza di rottura dall’ala forzista che fa capo alla viareggina Bergamini, esponente del cerchio magico berlusconiano, e pure al massese Giovanni Toti, Lamioni si è candidato in solitaria con la civica Passione Toscana sostenuto da Ncd e Udc. A Verdini non è riuscito nemmeno di piazzare la ruota di scorta, il suo pupillo Tommaso Villa, consigliere regionale uscente; così il compromesso s’è trovato su un altro consigliere regionale uscente come Stefano Mugnai, attivo nelle battaglie sulla sanità. Non è finita, perché a completare la triplice divisione del centrodestra c’è pure l’asse a destra tra Lega Nord e Fratelli d’Italia che insieme puntano sul guru no euro Claudio Borghi Aquilini. A lui ha dedicato particolare attenzione il leader padano Matteo Salvini, che dovrebbe riservare gli ultimi fuochi di campagna elettorale a Siena.
In un quadro del genere, nel quale non vanno dimenticati i 5 Stelle con Giacomo Gennarelli, il governatore del Pd (ma non renziano) Enrico Rossi ha la strada spianata per la riconferma. Resta il problema dell’astensione, motivo per cui Renzi si è sentito in dovere di lanciare un appello ai suoi compaesani (“Non fate i bischeri, andate a votare”) e probabilmente domani chiuderà la campagna elettorale proprio nella sua Firenze.
IN UMBRIA SI LITIGA SUI FRATI
Ad accendere la campagna elettorale sulle tranquille colline umbre è arrivata negli ultimi la polemica sui frati. Prima i francescani del convento di Assisi hanno polemizzato perché Salvini s’è fatto ritrarre a bordo di una ruspa (nei giorni in cui diceva di voler “radere al suolo i campi rom”) dietro alla quale spuntava un dipinto sulla facciata di una chiesa con l’immagine di San Francesco. E pensare che il candidato governatore del centrodestra – sostenuto anche dalla Lega in un’insolita alleanza in vecchio stile con dentro tutta la coalizione, compresa l’Area Popolare – è il cattolico Claudio Ricci, da dieci anni sindaco della città del Santo. Il quale (Ricci) non se l’è fatto ripetere due volte ed è passato al contrattacco: appena notata la facciata della basilica di Assisi ripresa in una manifesto del Pd che annunciava per ieri l’arrivo di Renzi ia sostegno della governatrice uscente, la giovane turca Catiuscia Marini, lo sfidante del centrodestra ha invocato lo stesso trattamento da lui ricevuto dai frati.
Non è finita, perché il vescovo di Assisi, monsignor Domenico Sorrentino, qualche giorno fa ha chiesto ai politici regionali di tagliarsi lo stipendio, parlando di “un primo segnale, concreto ed eloquente” con il quale “iniziare il vostro mandato con l’autoriduzione dei vostri stipendi e simili privilegi”. Perché “che gli emolumenti dei politici, a parità di condizioni, si stacchino vistosamente dalla remunerazione media di tanti cittadini, è inaccettabile”.
MARCHE, SPACCA COME SAN SEBASTIANO
Ormai è diventato il facile bersaglio di ogni critica, a partire da quella del mainstream giornalistico. Il governatore uscente delle Marche Gian Mario Spacca da settimane si vede dipinto come un voltagabbana, un politico attaccato a tal punto alla poltrona da cambiare casacca pur di tenersela stretta. Lui fa spallucce, spiega che dopo dieci anni alla guida della Regione con il Pd, e dopo aver per primo coniato l’alleanza con l’Udc che esclude la sinistra estrema, è stato il partito a ripiegarsi su stesso senza aprirsi alla società civile e al mondo imprenditoriale. Peccato che questo messaggio di Spacca abbia faticato a sfondare, soprattutto dopo che oltre alla sua lista Marche 2020 che ha accolto Area Popolare, il governatore ha accettato l’accordo con Forza Italia. Così l’ex sindaco di Pesaro e candidato del Pd, Luca Ceriscioli, ha avuto buon gioco nell’agitare lo spettro del trasformismo.
Per evitare reciproci imbarazzi, poi, Silvio Berlusconi qualche giorno fa ha preferito andare nello studio di Porta a Porta da Bruno Vespa invece che nelle Marche per sostenere Spacca. Sarebbe stato difficile mascherare l’imbarazzo sul palco da parte di entrambi. Come in Toscana, infine, anche ad Ancona e dintorni si ripete l’asse a destra tra Lega e Fdi; questa volta, in ottica di par condicio, il candidato viene lasciato al partito di Giorgia Meloni che ha lanciato il sindaco di Potenza Picena Francesco Acquaroli. Chiude il cerchio di queste bizzare regionali il caso Udc, con una grossa fetta della dirigenza locale che ha disatteso le indicaizoni nazionali restando alleata col Pd e portandosi dietro il simbolo dello scudocrociato.