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Bindi, De Luca e l’inguacchio elettorale

Chi è causa del suo mal pianga se stesso. E’ quello che nella sostanza dice Rosy Bindi, la presidente della Commissione Antimafia che ha stilato la lista dei 16 “impresentabili” (“ma non li ho chiamati io così”, sottolinea la Bindi) candidati alle elezioni regionali del 31 maggio.

Ma se gli “impresentabili” sono indicati dalla commissione bicamerale Antimafia di fatto si trasformano in “mafiosi”. Non è così, ma il messaggio – di fatto – è quello.

Ho solo applicato il “codice di autoregolamentazione approvato da tutti i partiti”, ha spiegato la Bindi. Ma cosa prevede questo codice? “Il nostro codice è più rigoroso della legge Severino – ha spiegato il presidente della Commissione Antimafia – perché riguarda anche i rinvii a giudizio. Ma meno esteso, perché riguarda solo i reati collegati a fenomeni mafiosi o ai cosiddetti reati spia“.

Reati spia? Cioè? Sono esclusi dal novero del codice di autoregolamentazione i reati contro la pubblica amministrazione, il peculato e l’abuso di ufficio. E’ inclusa invece la concussione, sulla base della quale Vincenzo De Luca, candidato Pd a governatore della Campania, è rientrato fra i cosiddetti “impresentabili” visto che è sotto giudizio per concussione. Il reato contestato risale a fatti del ’98 ed è prescritto ma De Luca ha rinunciato alla prescrizione.

Quindi tutto chiaro, regolare e quasi scontato il fatto che si stili una sorta di lista di proscrizione a pochi minuti dall’inizio del silenzio elettorale? Ecco quello che ha detto a Repubblica il segretario della commissione Antimafia, Marco Di Lello (Psi): “Col pretesto della segretezza, Bindi ha gestito in assoluta autonomia i rapporti con le procure e le prefetture campane. Ha gestito lei, col suo staff, i suoi consulenti, la compilazione della lista della quale noi non abbiamo saputo mai nulla“.

Ma come la pensano ex componenti di rilievo della Commissione Antimafia? Ieri Formiche.net ha intervistato l’ex parlamentare di Forza Italia, Marco Taradash, che ha avuto parole tostissime nei confronti del comportamento di Rosy Bindi. Più sfumato, verso la Bindi, ma non meno netto il giudizio di Luciano Violante, ex presidente della Camera ed ex presidente della stessa commissione Antimafia: “Il fatto di arrivare all’ultimo minuto – ma Rosy Bindi non ne ha la responsabilità – presenta un problema“, ha detto al quotidiano La Stampa.

Però Violante ha aggiunto: “Si stabilisce che alcuni candidati rientrano in una lista nera ma non si dà loro la possibilità di replicare, visto che domani si vota; né si dà la possibilità ai partiti, contrariamente a quanto stabilisce l’articolo 3 del codice di autoregolamentazione, di illustrare le ragioni per cui hanno scelto una candidatura discussa“.

La conclusione dell’ex presidente della commissione Antimafia è malinconica e, per alcuni osservatori, magari cela anche una sorta di mea culpa per alcune prese di posizione passate di Violante: “I partiti, prima con la Severino e poi con il codice dell’anti mafia, hanno rinunciato alla propria autonomia e si sono consegnati al casellario giudiziario, all’autorità di polizia, agli avvocati, ai magistrati. Ecco, questa è la giuristocrazia, pericolo per la democrazia“.

Ieri, subito dopo la conferenza stampa della Bindi, ci si chiedeva: “Delle due, l’una. O Rosy Bindi ha abusato dei suoi poteri e i componenti della commissione parlamentare hanno lasciato compiere senza colpo ferire questo abuso. Oppure la presidente della commissione Antimafia ha applicato la legge istitutiva della stessa commissione, ha seguito il regolamento e fatto rispettare il codice di cui Bindi ha fatto riferimento in conferenza stampa”.

Le versioni – della Bindi e chi la difende, di De Luca e di chi critica anche aspramente la presidente dell’Antimafia – divergono. Resta la sensazione di un pateracchio istituzionale. Frutto anche di quel “pasticciaccio campano” operato da Renzi e De Luca, come ha scritto Emanuele Macaluso.


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