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Libia, ecco come l’Isis avanza ancora

Sfiancata dall’instabilità che affligge il Paese, la Libia ha paura che i tentacoli dell’Isis si stringano fino a stritolarla, facendone un nuovo Iraq.

L’ATTENTATO A MISURATA

I drappi neri guadagnano posizioni, giorno dopo giorno, seminando terrore. Solo ieri, racconta la Reuters, cinque miliziani sono morti in un attentato suicida ad un posto di blocco alla periferia di Misurata. Altre sei persone sono rimaste ferite. Sebbene non ci sia ancora una conferma ufficiale, alcune immagini fatte circolare online dai sostenitori dello Stato Islamico mostrano uomini di al-Baghdadi che rivendicano l’attacco. La probabilità c’è ed è altissima. Le milizie di Misurata sono le principali forze militari a sostegno del governo islamista che controlla la capitale Tripoli e che non è riconosciuto dalla comunità internazionale.

UNA SERIE DI ATTACCHI

Per Mattia Toaldo, analista presso lo European Council on Foreign Relations di Londra, “l’attacco contro il posto di blocco di Dafniya a Misurata è solo l’ultimo di una serie di attacchi del cosiddetto Stato Islamico contro la città costiera. Già da marzo, i misuratini erano stati definiti da Daesh (il nome arabo dello Stato Islamico, ndr) come “apostati” e una parte delle milizie di Misurata, in particolare la brigata 166, hanno effettivamente combattuto l’Isis nella città di Sirte, da cui però si sono dovuti ritirare la scorsa settimana“.

UNA NUOVA OFFENSIVA

Negli ultimi giorni, infatti, l’Isis ha preso il controllo dell’aeroporto internazionale di Sirte e minaccia le installazioni petrolifere della regione; ieri le milizie hanno poi lanciato una dichiarazione di guerra a Fajr Libia, la coalizione che controlla la capitale Tripoli e che ha anch’essa lanciato un appello alla comunità internazionale chiedendo una maggiore “cooperazione” contro i jihadisti.

Ora, aggiunge l’esperto a Formiche.net, “i terroristi islamisti sembrano aver lanciato una nuova offensiva, soprattutto in Tripolitania e soprattutto contro Misurata. Anche se la loro presenza non è paragonabile a quella che hanno in Siria o in Iraq, è comunque molto preoccupante per le potenzialità che mostra“.

L’APPELLO DI TOBRUK

La crescita del Califfato nel Paese – spiega il New York Times – innervosisce sempre più l’Occidente, preoccupato della vicinanza della Libia all’Europa e della sua posizione strategica nel Mediterraneo (e in prima battuta l’Italia, attenta a tutti i progressi che giungono da Bruxelles per la definizione di un piano che fermi i migranti provenienti dalle coste libiche). Ma la situazione preoccupa ovviamente soprattutto il governo libico riconosciuto dalla Comunità internazionale, quello in “esilio” a Tobruk, che ha lanciato un nuovo appello per fermare l’avanzata dei jihadisti neri. “La minaccia di questo gruppo non cessa di incombere sulle città libiche e diventerà difficile combatterlo, come dimostra l’esempio iracheno: siamo sorpresi dal fatto che la comunità internazionale non abbia preso una posizione decisa di fronte a quel che sta accadendo in Libia“, ha rimarcato il premier libico Abdullah al-Thinni, che nei giorni scorsi è stato vittima di un nuovo tentativo di attentato e che ha inoltre chiesto una revoca dell’embargo sulle armi.

L’EMBARGO SULLE ARMI

Una prima richiesta in tal senso era già stata trasmessa alle Nazioni Unite nel febbraio scorso, ma il Consiglio di Sicurezza aveva respinto la proposta temendo che le armi potessero finire nelle mani sbagliate o potessero servire ad alimentare il contrabbando.

“Parlare di sospensione dell’embargo delle armi contro la Libia – prosegue Toaldo – non ha senso: le armi che ha richiesto il governo di Tobruk sono cacciabombardieri e carri armati che chiaramente servono per combattere i nemici di Alba libica, non i terroristi urbani di Daesh. Ciò che serve è intensificare gli sforzi almeno per una coalizione informale contro i terroristi tra gli stessi attori che si sono combattuti finora: la scorsa settimana c’è stato un attacco congiunto di Misurata e dell’aviazione di Tobruk, serve – conclude – che non rimanga un fatto isolato“.



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