Sul presunto calo dell’export italiano a causa delle sanzioni alla Russia si è fatto troppo rumore per nulla? Sì, almeno secondo le cifre di fonte russa messe nero su bianco in un documento che Casa Bianca e Dipartimento di Stato americano hanno preparato per la delegazione italiana al G7.
Non è chiaro se il testo sia lo stesso che il presidente Usa aveva mostrato al capo del governo italiano nella sua ultima visita a Washington e di cui Formiche.net aveva ampiamente parlato alla fine di aprile.
La tesi e i contenuti, però, stando alle indiscrezioni pubblicate ieri da Repubblica, sarebbero gli stessi: nel dossier – intitolato “OCE Paper on Italy’s Trade with Russia under Sanctions” – fitto di cifre, prese dalle statistiche ufficiali di Mosca, si confuta quanto dice la Confindustria italiana “secondo cui la nostra economia pagherebbe un prezzo eccessivo per la caduta dell’export verso la Russia“. Nel documento che Obama ha consegnato a Matteo Renzi – scrive Federico Rampini sul quotidiano diretto da Ezio Mauro – si documenta l’impatto decisivo del calo del prezzo del petrolio, che ha impoverito la Russia e ha fatto crollare il suo commercio anche con la Cina (che non partecipa alle sanzioni)“.
I TIMORI SULL’ITALIA
Da cosa nasce la necessità di un documento mirato nei confronti di Roma? “Washington – sottolinea la firma di Repubblica – ha paura che il governo Renzi sia uno degli anelli deboli nel dispositivo delle sanzioni“.
Timori confermati anche durante il G7, dove dietro le quinte si è molto discusso del presunto “putinismo” di una testata importante come il Corriere della Sera, che sabato scorso ha ospitato una intervista a Vladimir Putin dai toni considerati troppo concilianti con lo zar russo. Un’accusa che ha forse indotto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a una conversazione pubblicata oggi sulle stesse pagine del giornale di Via Solferino.
Per questo lo staff presidenziale ha esibito statistiche che dimostrano sì un tracollo dell’interscambio, “ma le cui cause vanno ben oltre le sanzioni“.
LE VERE CAUSE
A contribuire a questa tendenza, aveva scritto Formiche.net, sono state la riduzione dell’import russo, causata da una cattiva gestione del comparto, il crollo del prezzo del petrolio, la svalutazione del rublo e (ma viene posto come interrogativo) dalle sanzioni occidentali inflitte nei confronti di Mosca a partire dal luglio scorso. Queste, pur non interessando l’ambito del commercio, hanno colpito banche e aziende che si occupano di difesa e di energia e hanno avuto come effetto contro sanzioni nei confronti di alcuni prodotti agricoli.
Prova ne è, sottolinea Repubblica, che se “il commercio con l’intera Ue è calato del 37%” e “quello con l’Italia è calato di meno, del 26%“, più pesantemente “è sceso quello con la Cina, meno 29%. Eppure la Cina non applica le sanzioni, anzi Putin è andato in cerca di un nuovo “rapporto privilegiato” con Pechino per attutire l’impatto delle misure occidentali“.
ANCHE GLI USA NON RIDONO
Non solo. Il dossier spiega che “anche l’interscambio Usa-Russia è calato, sia pure “solo” del 17%, ma questo perché i rapporti bilaterali erano minuscoli in partenza“. Numeri, sempre di fonte russa e per questo considerati incontestabili sull’altra sponda dell’Atlantico. E che fanno chiarezza su un’accusa rivolta poche settimane fa nei confronti di Washington dall’ex presidente del Consiglio e della Commissione europea, Romano Prodi, che aveva lasciato intendere che gli Usa, contrariamente all’Europa, avessero addirittura aumentato le loro esportazioni verso la Russia dopo l’entrata in vigore delle sanzioni. Invece, secondo i dati statistici di Census Bureau ed Eurostat nel 2014 e riportati ad aprile scorso su queste colonne, le esportazioni Usa verso la Russia hanno subito un calo del -3% (-13% nella prima metà e -18% nella seconda metà dell’anno) e del -8% se si escludono gli aeroplani (+5% nella prima metà e -20% nella seconda metà dell’anno), mentre quelle italiane il -11% (-5% nella prima metà e -17% nella seconda metà dell’anno). L’incremento delle esportazioni registrato dagli Stati Uniti nella prima parte dell’anno, inoltre, è legato all’invio di velivoli commerciali. Gli ordini risalgono a 12-18 mesi precedenti la spedizione, ben prima l’annessione della Crimea.