Si chiama Turkish Stream, ed è il piano B di Gazprom per realizzare la “grande ossessione” energetica russa: far arrivare il gas in Europa bypassando l’Ucraina. Il progetto originario, South Stream, doveva utilizzare la Bulgaria come porta di ingresso nei mercati europei, ma Vladimir Putin ne ha annunciato la cancellazione a dicembre scorso, mettendo fine a un lungo braccio di ferro con la Ue: Gazprom puntava infatti a mantenere il controllo della conduttura e del gas trasportato, una pratica considerata monopolistica dalle leggi comunitarie.
Il percorso alternativo, il cui primo tratto farà arrivare il gas russo direttamente in Turchia, è stato presentato subito dopo l’abbandono di South Stream, ma poi sono seguiti mesi di incertezza sul progetto. Negli ultimi giorni, però, sono arrivate novità per i piani del colosso energetico russo: dopo la partenza di alcuni lavori iniziali, la Turchia ha confermato l’intenzione di dare l’ok entro giugno alla costruzione del primo tratto del gasdotto, che sarà capace di trasportare 63 miliardi di metri cubi di gas all’anno, di cui 47 destinati ai mercati europei, entro il 2020.
Poi, una telefonata tra il premier greco Alexis Tsipras e Vladimir Putin – arrivata subito dopo l’annuncio del mancato pagamento della tranche di debito greco con il Fmi – ha confermato che l’interesse della Grecia per il progetto è serio. Secondo i piani di Gazprom, infatti, dopo la Turchia la conduttura dovrebbe attraversare Grecia, Macedonia, Serbia e Ungheria. Una possibilità che preoccupa Unione Europea e Stati Uniti: in gioco potrebbero esserci gli sforzi europei di diversificazione energetica. E la Russia potrebbe usare la costruzione del gasdotto per avvicinare sempre di più a sé paesi che la Ue considera già a rischio di finire nell’orbita del Cremlino.
Quando Putin, durante una visita lampo ad Ankara, parlò per la prima volta di Turkish Stream, le sue parole furono accolte con scetticismo, visto l’alto costo del progetto e il momento difficile per l’economia russa, colpita dalle sanzioni occidentali dopo la crisi ucraina. Negli ultimi tempi, invece, la costruzione del primo tratto della conduttura è sembrata sempre più vicina a diventare realtà, così come aveva confermato anche Taner Yildiz, ministro turco uscente dell’Energia, prima delle elezioni parlamentari del sette giugno. Un’intenzione che ora dovrà essere confermata da un eventuale nuovo governo di coalizione, dopo che l’Akp, il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, ha perso la maggioranza assoluta.
Il nuovo gasdotto dovrebbe attraversare il Mar Nero, partendo dalla stazione di compressione “Russkaya”, nei pressi della città di Anapa, e arrivare nella parte europea della Turchia e di lì a Ipsala, lungo il confine greco-turco. Gazprom e la sua equivalente turca, Botas, hanno firmato un memorandum di intesa a dicembre, ma, almeno per ora, non un accordo definitivo: la Turchia, che si è già assicurata un 10,25% di sconto sul prezzo del gas russo, punta ad arrivare almeno al 15%, prima di dare il via libera. Tra chi attende con ansia la fine delle negoziazioni c’è sicuramente Saipem, la controllata dell’Eni con cui Gazprom aveva stipulato un contratto miliardario per il vecchio South Stream, che è stato “recuperato” per la costruzione del tratto off-shore di Turkish Stream.
«La realizzazione della prima linea del gasdotto – spiega Matteo Verda, ricercatore dell’Osservatorio Energia dell’Ispi – è sicuramente economicamente vantaggiosa per entrambi i paesi. La Russia in questo modo recupera le spese già sostenute per South Stream, come i lavori di riammodernamento della sua rete energetica – per i quali sono già stati impiegati diversi miliardi di dollari – poi l’acquisto dei tubi, e l’importante contratto con Saipem. Per la Turchia, che è il secondo importatore di gas dalla Russia, dopo la Germania, oltre agli sconti sui prezzi c’è sicuramente il vantaggio posizionale che arriva dall’avere un accesso diretto alle forniture di Gazprom, senza la possibilità di condizionamenti o “ricatti” dalla Ue o altri paesi».
Dopo l’arrivo in Turchia, Gazprom punta a costruire un grande hub energetico al confine turco-greco. Di lì la conduttura dovrebbe passare nelle mani di acquirenti europei, per non violare di nuovo le leggi comunitarie. E sembra proprio che il governo di Alexis Tsipras stia per far avverare il desiderio del gigante russo del gas. Il premier greco e Putin dovrebbero discutere i dettagli del progetto durante l’International Economic Forum di San Pietroburgo, che inizierà il 18 giugno.
Un’intesa tra i due leader vanificherebbe tutti gli sforzi degli Stati Uniti: poche settimane fa, Amos Hochstein, inviato del Dipartimento di Stato Usa, era andato ad Atene proprio per chiedere alla Grecia di non partecipare a Turkish Stream. «Se il governo greco riuscirà a muoversi con accortezza – spiega Roman Gerodimos, ricercatore all’Università di Bournemouth e direttore del Greek Politics Specialist Group – potrà intrattenere relazioni fruttuose, e non mutualmente esclusive, con Est e Ovest. Lo sta già facendo con la Cina, con cui sta portando avanti diversi progetti per costruire infrastrutture. Ma se la scelta di collaborare con la Russia è vista come un modo per ottenere credito e risolvere i problemi di liquidità della Grecia non credo che funzionerà».
(la seconda parte dell’analisi sarà pubblicata nei prossimi giorni)