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Fatti, antefatti e segreti dell’incontro fra Papa Francesco e Putin

Il vertice tra il Papa e Vladimir Putin è andato bene, ma sarebbe potuto andare meglio. In sostanza, dietro la consueta formula all’insegna della “cordialità”, si sono palesate anche distonie. Non tanto sulla situazione dei cristiani in Medio oriente, quanto piuttosto sul dossier ucraino. Alla vigilia dell’incontro, il Pontefice aveva ricevuto una lettera dell’arcivescovo maggiore di Kiev, mons. Sviatoslav Shevchuk, in cui il presule gli chiedeva “di essere la voce del popolo ucraino, dei suoi figli, di tutti i cattolici credenti in Ucraina che soffrono”.

LE PAROLE DELL’AMBASCIATORE AMERICANO

E il Papa, a quanto pare, ha avuto molto da dire a Putin, se è vero che l’incontro a porte chiuse è durato ben cinquanta minuti. Il Pontefice aveva ricevuto pressioni esplicite anche dall’ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, Kenneth Hackett, che solo martedì scorso aveva osservato come il Vaticano “potrebbe dire di più circa le preoccupazioni sull’integrità territoriale”. Forse – aveva aggiunto Hackett secondo la ricostruzione del Guardian – “questa è una opportunità per il Santo Padre di sollevare privatamente queste preoccupazioni”. E ancora, diceva l’ambasciatore, “Papa Francesco è stato certamente messo al corrente della violenza in Ucraina”.

LA LINEA-OBAMA

Hackett non faceva altro che definire in chiave “romana” la linea che solo poche ore prima aveva impostato il presidente Barack Obama, durante gli incontri del G7 andato in scena a Elmau, in Baviera. Il problema è che la diplomazia vaticana da sempre segue propri canali e propri orientamenti, estranei a quelli dominanti presso le cancellerie occidentali. Per comprenderlo è sufficiente ricordare la dissonanza che si venne a creare nel settembre del 2013, quando la Santa Sede fece muro dinanzi alla possibilità che i cacciabombardieri britannici, francesi e americani attaccassero Damasco per far cadere Bashar el Assad.

IL PRECEDENTE DEL 2013

In tale circostanza il Pontefice sembrò ben più in sintonia con Vladimir Putin, che subito (e non a caso) si definì “protettore dei cristiani d’oriente”. Tuttavia, rispetto al primo loro incontro del novembre 2013, è “spuntata” la crisi ucraina. Il Papa, se è parso più irrigidito, non lo è stato di certo in virtù delle pressioni di Washington. Semmai, dalle segnalazioni che gli giungono quotidianamente dai vescovi cattolici nel Paese martoriato dalla guerra civile e di fatto diviso tra l’occidente filo-europeo e l’oriente russofilo. Una tensione talmente alta che lo scorso febbraio, in occasione di un’udienza concessa all’episcopato ucraino, le parole del Papa provocarono un piccolo incidente diplomatico: Francesco, infatti, parlò di “guerra fratricida”, definizione che i vescovi di Kiev ritennero sproporzionata, sentendosi aggrediti e non di certo sullo stesso piano degli aggressori russi. Il direttore della Sala stampa, padre Federico Lombardi, intervenne a chiarire che il Pontefice “ha sempre inteso rivolgersi a tutte le parti interessate”.



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