Anche se ostenta una sicurezza al limite della temerarietà dichiarandosi convinto di poter rimanere sindaco di Roma fino al 2023, cioè portando a conclusione regolare il primo mandato e raddoppiandolo, Ignazio Marino già vive da precario.
Fra contestazioni di strada e di piazza, assessori in uscita, rischi di ulteriori e più clamorosi sviluppi dell’inchiesta giudiziaria nota come Mafia Capitale, l’ipotesi prospettata dallo stesso presidente del Consiglio, e collega di partito, di elezioni comunali a Roma anticipate al 2016, per farle coincidere con quelle ordinarie già in programma a Milano e in altre grandi città, Marino sembra più un paziente che un medico. Un paziente invitato dallo stesso Matteo Renzi a “non stare tranquillo”.
Alfio Marchini già sente odore elettorale e sapore di vittoria, puntando su consensi trasversali: da sinistra, dove è stato a lungo stimato familiarmente e pure coccolato, a destra. Dove lo stesso Marchini ha tenuto a far sapere di potere intanto contare sui consigli di Silvio Berlusconi.
In particolare, l’aspirante al Campidoglio ha raccontato al Corriere della Sera di essere stato avvertito dall’ex presidente del Consiglio che “la passione e la sana follia che ti animano ti esporranno a grandi rischi personali”, perché è meglio “essere nullatenenti in questo Paese”.
Ma ancor più dei moniti e consigli di Berlusconi sembra significativo l’uso già fattone da Marchini. Che ha annunciato: “Senza proclami, li ho messi in pratica. L’unico modo per evitare il conflitto d’interessi è non averne”. Forse ha già cominciato ad essere soltanto un povero benestante, in uno di quegli ossimori che sono tanto di moda in politica.
Marchini potrebbe diventare a Roma, con l’aiuto appunto di Berlusconi, quello che un altro imprenditore, Luigi Brugnaro, è appena diventato a Venezia sconfiggendo di brutto il candidato del Pd Felice Casson.
L’interfaccia milanese di Marchini e Brugnano potrebbe essere l’ex ministro Corrado Passera, anche lui candidatosi a Palazzo Marino con tempestività e astuzia, visto che il segretario leghista Matteo Salvini, sino a qualche tempo fa lusingato dalla prospettiva di Palazzo Marino, è tentato da ambizioni ancora più alte dopo i guadagni nelle elezioni regionali di fine maggio.
Se la vicenda di Brugnaro a Venezia dovesse l’anno prossimo ripetersi a Roma e a Milano, Marchini e Passera potrebbero vivere un biennio di grande e vantaggiosa esposizione mediatica e politica diventando punti di riferimento anche nazionale per gli elettori moderati chiamati alle urne nel 2018, salvo incidenti e anticipi, per il rinnovo di quello che riuscirà ad essere il nuovo Parlamento. Cioè, una Camera ancora elettiva, con la nuova legge approvata il mese scorso, e un Senato espresso dai Consigli regionali, secondo la riforma costituzionale che Renzi vuole portare a termine in tempo per sottoporla a referendum confermativo l’anno prossimo, in coincidenza proprio con il turno delle elezioni comunali.
Due anni di grande esposizione mediatica e politica, che sarebbero poi tre per Brugnaro, potrebbero insomma proiettare i nuovi sindaci dell’area moderata verso Palazzo Chigi, secondo uno schema che Renzi conosce bene per averlo praticato alla grande a sinistra, arrivando alla testa del governo, oltre che del suo partito, dalla postazione di sindaco di Firenze. E proponendosi come “sindaco d’Italia”, secondo un’immagine che, in verità, non gli appartiene, essendo stata coniata più di una ventina d’anni fa da Mario Segni. Alla cui ostinazione si deve la legge che istituì nel 1993 l’elezione diretta dei capi delle amministrazioni comunali, aumentandone la valenza politica e imitando ciò che già avveniva, fra l’altro, in Francia. Dove il sindaco di Parigi Jacques Chirac si preparava a scalare con successo nel 1995 l’Eliseo.
Prima ancora di Renzi, d’altronde, anche in Italia non sono mancati candidati alla guida del governo forti dell’esperienza di sindaco. Francesco Rutelli nel 2001 e Walter Veltroni nel 2008 contesero, per quanto inutilmente, Palazzo Chigi a Berlusconi investendo sull’esperienza e sulla notorietà guadagnatesi in Campidoglio.
Sarebbe, certo, una curiosa circostanza, quasi un’eterogenesi dei fini, se fosse proprio Renzi, con il suo schema di partenza da sindaco, ad aiutare i moderati a trovargli un’alternativa già nel 2018, facendo svanire il suo sogno, che poi è anche quello dello sfortunato Marino, di rimanere in sella per questa e per la prossima legislatura, fino cioè al 2023.