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Cassa depositi e prestiti, perché Renzi rottama i vertici

“Motivi tecnici” obbligano “per forza” il governo a cambiare i vertici della Cassa depositi e prestiti. Questo ha detto nei giorni scorsi il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a Porta a Porta, mentre l’esecutivo procedeva al ribaltone nella Cdp: al momento il presidente uscente Franco Bassanini è diventato consigliere speciale del premier e al suo posto l’esecutivo ha indicato Claudio Costamagna; quanto all’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini, nei prossimi giorni si comprenderà come e quando uscirà di scena, mentre è dato per certo che al suo posto andrà Fabio Gallia, ora ad di Bnl-Bnp Paribas, come annunciato oggi dallo stesso presidente del Consiglio in un’intervista con il direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano.

Da giorni ci si chiedeva quali fossero davvero quei “motivi tecnici” che hanno indotto il governo “per forza” – come detto dal premier – a intervenire nella Cassa depositi e prestiti. Oggi al Sole non ha spiegato questi “motivi tecnici” dicendo che “la missione di Cdp non cambia. Rimane la stessa con attori nuovi”, esprimendo poi “gratitudine” a Bassanini e Gorno Tempini “per il loro lavoro”.

Ecco, secondo una ricostruzione di Formiche.net sulla base di varie fonti governative, quali possono essere i “motivi tecnici”, almeno stando ai si dice nell’esecutivo. Infatti di spiegazioni ufficiali, in questa vicenda, c’è nulla.

Siamo al dopo elezioni politiche, con Pierluigi Bersani alla ricerca di un governo possibile. Mentre il leader Pd si barcamenava tra grillini riluttanti, c’era da sbrogliare tra l’altro una matassa: la scadenza dei vertici della Cassa depositi e prestiti, controllata dal ministero dell’Economia. Non si poteva più traccheggiare. Che cosa escogita dunque la direzione generale del Tesoro allora retta da Vittorio Grilli? Una conferma dei vertici (Bassanini e Gorno Tempini) e un cda con 5 alti dirigenti del ministero dell’Economia su 9 membri totali. Il governo Monti, ancora in carica allora per l’ordinaria amministrazione, approva lo schema. Una decisione che a tutti, implicitamente o esplicitamente, parve provvisoria e tecnica, in attesa di decisioni politiche successive con governi in piena carica.

Nel frattempo nasce e poi muore il governo Letta e si insedia il governo Renzi, e nessuno interviene. Dunque non ci sono obblighi particolari che inducono “per forza” a intervenire. Eppure c’è chi in ambienti renziani suggerisce un’altra chiave di lettura. La provvisorietà di quello schema – con 5 dirigenti dell’Economia che costituiscono la maggioranza del cda della Cassa – potrebbe indurre Eurostat a porsi qualche domanda del genere: ma è davvero una market unit la Cdp? Ovvero, per dirla diversamente: perché si giudica la Cdp al di fuori della pubblica amministrazione (quindi non considerando il risparmio postale raccolto come debito pubblico) se poi la maggioranza dei consiglieri della Cassa depositi e prestiti è costituita addirittura da dirigenti del ministero dell’Economia?

Dunque, secondo questa interpretazione che circola in ambienti governativi, si è deciso di intervenire per scongiurare l’eventualità di qualche brutta sorpresa di Eurostat con ricadute negative per la contabilità pubblica.

Questa è la narrativa “renziana”, per quanto si è potuto comprendere. Nei prossimi giorni cercheremo di approfondire alcune questioni che non sono comunque del tutto chiare.

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