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L’Unione europea esiste ancora?

Il vecchio, fragile e inconsistente “ordine europeo” non esiste più. A prescindere dalle conseguenze economiche e finanziarie del referendum greco, i membri dell’Unione dovranno prendere atto che la pronuncia ellenica apre la strada alla dissoluzione dell’Europa così come è stata congegnata dal Trattato di Maastricht (tradito da regolamenti che hanno reso “illegale” l’euro, come sostiene Giuseppe Guarino), disegnata da quello di Amsterdam e “costituzionalizzata” dalla Convenzione europea (la più ridicola finzione giuridico-parlamentare messa in campo negli ultimi vent’anni) i cui risultati vennero recepiti nel Trattato di Lisbona. Questi atti hanno prodotto un’Europa burocratica nelle cui pieghe l’euro a dimensione tedesca, grazie alla cecità dei governanti delle altre nazioni, ha potuto imporre la sua legge con la forza del Pil e lo spauracchio dello spread. Adesso è finita.

Si discuterà a lungo se Tsipras ha giocato “sporco” o meno; si discuterà ancora più a lungo sulle responsabilità delle classi politiche greche che almeno dal 2004, tra trucchi di bilancio e promesse che sapevano di non poter mantenere, hanno condotto al macello il loro popolo pur di sedersi al tavolo dell’Unione monetaria. Ma servirà a poco: sarà una specie di risiko ozioso dal quale non verrà fuori nessun risultato apprezzabile.

Quel che conta da oggi è l’incertezza dei greci i quali orgogliosamente hanno respinto le minacce della troika e trovandosi nell’incertezza di non poter onorare il debito contratto hanno sbattuto la porta in faccia a tutti i creditori. Non si fa così, naturalmente, in condizioni di normalità. Ma quando non ci sono più soldi da tirar fuori, quando gli stipendi decurtati del 38% e le pensioni del 48% non consentono più di sopravvivere, quando le banche sono vuote e gli sportelli dei bancomat a secco resta soltanto la disperazione. Ed è la disperazione che ha vinto.

Immaginavano un epilogo di questo genere i “padri fondatori” dell’Europa? Certamente no. Eppure l’avidità degli Stati, l’assurda austerità ostinatamente voluta da alcuni burocrati senza patria e spesso senza volto, l’irresponsabilità di classi politiche votate al tanto peggio tanto meglio, la cessione di sovranità di nazioni incapaci di preservare il loro destino (credete che l’assurdità della parità di bilancio introdotta nella Costituzione italiana ed il Fiscal compact non avranno conseguenze? Come mai Renzi e la sua corte dei miracoli ne parlano così poco, anzi per niente?) sono stati gli elementi che hanno fatto naufragare l’Europa.

Sì, di naufragio bisogna ragionevolmente parlare. Gli eufemismi non s’addicono al luttuoso momento che il Vecchio Continente attraversa. Per quanto Atene festeggi, tutti sanno bene che niente sarà più come prima. E le conseguenze, oltre che economiche per la Grecia, saranno anche geopolitiche. E’ inevitabile, infatti, che  la “forma” dell’Europa verrà ridisegnata, non senza produrre tensioni ad alto rischio. Se Tspiras si troverà la strada sbarrata dall’offesa Merkel, da Hollande, dal ragazzotto di Pontassieve e via elencando, a chi altri potrà rivolgersi se non a Vladimir Putin che non vede l’ora di stabilire il suo “protettorato” sulla Grecia e guadagnare posizioni di assoluto rilievo nel Mediterraneo assecondando un’antica aspirazione russa frustrata per secoli? Non sarebbe una tragedia, naturalmente. Almeno per l’Europa che finalmente leverebbe lo sguardo altrove dopo settant’anni, lasciandosi alle spalle anacronismi che sarebbe stato meglio superare tanto tempo fa, almeno da quando il Muro di Berlino rovinò miseramente.

Per quanto lo scenario possa sembrare irreale al momento – invece è un’opzione considerata seriamente in tutte le cancellerie e al Dipartimento di Stato americano – non v’è chi non veda come la Grecia fuori dal sistema monetario e gonfia di risentimento sia un serio e concreto pericolo per la stabilità continentale ed euro-atlantica. A questo punto riprendere il filo del discorso interrotto è utopistico. I creditori dovrebbero sedersi al tavolo con Tsipras e cancellare i debiti della Grecia. O, come dice Varoufakis con altre parole, “razionalizzarli” (che poi è la stessa cosa). Possibile? Se accadesse tutti coloro che si trovano in difficoltà invocherebbero lo stesso principio e l’Europa economica salterebbe comunque.

Non è necessario essere economisti di vaglia per concludere che l’Unione non esiste più. Lo si sapeva quando veniva paventato il recesso di uno dei membri. Forse è venuto il momento di raccogliere i cocci e di tornare ad una concezione alta dell’Europa: una federazione di popoli, nazioni e Stati dotati di piena sovranità. A cominciare da quella monetaria.

L’ostinazione a perseguire nell’errore potrebbe aprire baratri spaventosi.



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