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Così il Fondo monetario invoca gli Eurobond

La crisi greca è un quadro astratto che ognuno la vede a modo suo. Sintetizzando, in Italia prevalgono le letture politico-culturali. Chi difende Atene lo fa in modo ideologico: i vari “no all’austerità”. In stile Liceo classico: “Non si può penalizzare la culla della civiltà occidentale”. O impersonando il ruolo di pompiere. Come il governo che, da una parte, si limita a dire che comunque vada “non ci saranno effetti per l’Italia”; dall’altra, non ha proposto soluzioni proprie. Un disinteresse ostentato dal premier Matteo Renzi e, a detta di insider di Bruxelles, dettato dal fastidio crescente del premier italiano verso le istituzioni europee.

Gli Stati Uniti vedono il rischio geopolitico. Dopo la Turchia, un altro Stato messo alla porta dagli alleati europei a beneficio dei vari nemici e/o concorrenti non è accettabile. I rischi economici sono secondari, così come la spesa di un salvataggio. Briciole, viste da Washington.

La Germania è affetta dalla sindrome del bravo tedesco turlupinato dai popoli mediterranei. Inaffidabili, dai quali ci si difende anche facendo rispettare alla lettera, senza flessibilità, i principi e gli accordi. Poco importa se gli effetti sono disastrosi e il conto da pagare, alla fine, rischia di essere più salato anche per i tedeschi.

Il richiamo del Fondo monetario internazionale sul debito da questo punto di vista è una sveglia. Dovrebbe servire un po’ a tutti a prendere le misure usando gli strumenti giusti. Magari una calcolatrice. L’istituto guidato da Christine Lagarde ha spiattellato davanti a tutti una verità contabile che ai vicini di casa di Tsipras (Angela Merkel soprattutto) sfugge o non interessa, perché cozza con ragioni politiche e pregiudizi che è troppo difficile scuotere.

La ristrutturazione del debito greco, secondo il Fondo, non è possibile. Comunque non sulle basi dell’accordo raggiunto la settimana scorsa tra Atene e l’Eurosummit, che, al contrario, porterà in tre anni l’indebitamento al 200% del Pil. Il Fmi propone un taglio o un allungamento molto consistente dei termini di rientro. Trent’anni al posto di dieci. Senza taglio del debito, l’economia greca non ritornerà mai indipendente, cioè in grado di creare quella ricchezza che, peraltro, serve anche a onorare i debiti.

Vero che ci sono controindicazioni. Ad esempio il premier greco Alexis Tsipras con meno interessi da pagare potrebbe sentirsi autorizzato a fare la politica economica che gli è più congeniale. Aumentare stipendi pubblici e pensioni, fare assunzioni nel pubblico impiego e imbrigliare i mercati. Ricetta che è già stata tossica per la Grecia in passato e che oggi sarebbe mortale.

Ma è altrettanto vero che il ritorno della spesa pubblica stile mediterraneo potrebbe essere evitato con una maggiore integrazione delle politiche politiche fiscali di Bruxelles. La forza di persuasione della Troika, potrebbe essere esercitata con un controllo ex post sui conti degli stati che non restano dentro i limiti.

Le regole europe, di fatto, lo consentono già oggi. Ancora meglio sarebbe varare gli Eurobond, cioè titoli di stato europei, che spalmerebbero il debito dei singoli stati su tutta l’Area euro. Ricetta proposta cinque anni fa dall’Italia e da Jean Claude Juncker (nella veste di presidente dell’Eurogruppo), bocciata dalla Merke.

L’analisi del Fondo monetario spinge per soluzioni di questo tipo. Ma le classi dirigenti degli Stati europei non hanno nessuna intenzione di ammetterlo.



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