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Ecco a cosa può servire una bad bank

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Niente credito, niente ripresa? L’intenzione del governo di costituire una “bad bank”, grazie alla quale risolvere il problema delle sofferenze degli istituti di credito, è uno degli elementi centrali di discussione fra quanti sono interessati a intervenire per eliminare gli ostacoli che ancora esistono sulla via della ripresa. È un tema che ho avuto occasione di approfondire recentemente grazie a un appassionato studioso di statistica ravennate, Paolo Montanari, che mi ha fatto notare come in questo momento il fatto che il volume di cessioni e cartolarizzazioni di sofferenze sia ancora troppo contenuto costituisce un ostacolo al riassorbimento degli effetti della crisi.

Sull’esigenza di costituire una “bad bank” – ovvero di una istituzione finanziaria che aiuti lo sviluppo di un mercato privato dei crediti in sofferenza – credo che sia una scelta da fare di concerto con l’Unione europea. Soprattutto, è indispensabile proteggere il sistema finanziario italiano ma garantendo nello stesso tempo azioni efficaci per difendere il reddito dei cittadini.

Fatta questa premessa appare chiaro che il tema della “bad bank” è strettamente collegato a quello delle sofferenze bancarie: essendo un dato di natura strutturale va affrontato con interventi della stessa natura, visto che le azioni di politica monetaria appaiono insufficienti. In questa direzione va il decreto legge del governo che permette alle banche di dedurre fiscalmente in un anno le rettifiche di valore sui crediti (in precedenza erano cinque anni) e introduce un regime fiscale più favorevole sulle rettifiche stesse. In pratica, se si fornisce agli istituti di credito uno strumento per smaltire la zavorra che hanno ancora in pancia, anche l’offerta di credito a famiglie e imprese dovrebbe progressivamente aumentare, sostenendo la ripresa. Una misura che, come ha sottolineato il ministro Piercarlo Padoan, “accelera notevolmente l’aggiustamento dei bilanci delle banche e permetterà di dedicare più capitale al credito. È una misura a costo zero per il bilancio pubblico, anzi è possibile che porti piccoli benefici”.

Insieme a Montanari ho analizzato le cifre sull’intermediazione bancaria in Emilia-Romagna relative al primo trimestre del 2015 (pubblicate dalla Banca d’Italia), che disegnano una situazione di perdurante difficoltà nell’accesso al credito bancario dell’economia emiliano romagnola: la crescita delle sofferenze bancarie pesa ancora sul credito e di conseguenza sulla intensità e la durata della ripresa economica. Nel primo trimestre del 2015 l’avvio della ripresa, che pure c’è stato dopo molti trimestri negativi non alimenta ancora la domanda di credito. Questa contrazione dei prestiti riflette la debolezza degli investimenti delle imprese, degli acquisti di beni durevoli, ma anche la debolezza del mercato immobiliare: alla diminuzione degli impieghi contribuisce, in misura significativa, anche l’irrigidimento dell’offerta, legato al deterioramento del merito di credito della clientela e ai suoi riflessi sulla qualità degli attivi bancari. Le condizioni di offerta del credito frenano a loro volta l’attività economica, in una spirale negativa che deve prima o poi essere spezzata se, appunto, si vogliono eliminare gli ostacoli alla ripresa.

Qualche numero che riguarda l’economia dell’Emilia-Romagna può aiutare la comprensione del problema. La variazione degli impieghi totali nelle province emiliano romagnole è stata negativa sullo stesso trimestre del 2014 per Ferrara -3,7% , Forlì-Cesena -2% , Modena -1,1% , Parma -1,7% , Piacenza -1,4% , Ravenna -1,6% , Rimini -3,6%, con una riduzione più pesante di quella nazionale pari a meno 0,9%. Solo per Reggio Emilia, +0,3%, e Bologna +4,3%, hanno fatto segnare dati positivi. Se poi scendiamo nel particolare dei vari settori, nella media regionale diminuiscono gli impieghi all’industria -1,5%, ai servizi -3,5% , alle costruzioni -7%.

Ma quel che più desta preoccupazione è la forte incidenza delle sofferenze sugli impieghi. Nella tabella è indicato il rapporto percentuale tra sofferenze e impieghi nel primo trimestre 2015.

 

ITALIA 9,5
EMILIA-ROMAGNA 10,3
PIACENZA 11,4
PARMA 10,3
REGGIO EMILIA 10,2
MODENA 11,0
BOLOGNA 8,3
FERRARA 13,7
RAVENNA 7,6
FORLI’-CESENA 11,7
RIMINI 15,8

Il peso delle insolvenze è come si può notare è drammatico nel comparto delle costruzioni, in alcune provincie molto più alto rispetto alla media nazionale. A Ferrara raggiunge il 41,5% degli impieghi, ma è molto alto anche a Bologna con il 30,9% e a Forlì-Cesena con il 27,7%. Sono consistenti anche le sofferenze nell’industria, il 10,9% la media regionale (con una punta del 25% a Ferrara) e nei servizi, 11,9% , mentre sono più basse quelle a carico delle famiglie consumatrici, con il 5,7%.

Rapporto % sofferenze impieghi nel comparto delle costruzioni, primo trimestre 2015.

 

ITALIA 24,9
EMILIA-ROMAGNA 27,2
PIACENZA 23,4
PARMA 19,5
REGGIO EMILIA 23,0
MODENA 22,7
BOLOGNA 30,9
FERRARA 41,5
RAVENNA 20,9
FORLI’-CESENA 27,7
RIMINI 48,5

 

I dati della tavola sottostante mostrano che al quadro recessivo della economia reale nel periodo 2007-2014 (la riduzione del valore aggiunto è stata forte ed in alcune province con intensità superiore alla media nazionale e regionale) corrisponde, non a caso, un forte aumento delle sofferenze bancarie (in alcune province come Piacenza, Ferrara e Rimini sono state più alte del dato nazionale): in sostanza sempre più famiglie e imprese, causa la crisi , non sono state in grado di ripagare i debiti provocando l’aumento delle perdite per le banche.

Valore aggiunto totale ai prezzi base (fonte: Unioncamere Prometeia); sofferenze bancarie (fonte: Banca d’Italia)

Valore aggiunto var.% 2007/2014 Sofferenzerapporto 2014-2007
ITALIA -8,3 3,4
EMILIA-ROMAGNA -6,6 4,0
PIACENZA -16,9 4,0
PARMA -5,5 2,0
REGGIO EMILIA -11,0 7,4
MODENA -10,0 4,1
BOLOGNA 0,3 4,5
FERRARA -16,1 2,5
RAVENNA -2,2 5,1
FORLI’-CESENA -7,7 4,0
RIMINI -4,3 5,4

 

Infine, a causa dell’aumento delle sofferenze che comprimono la già bassa redditività anche nel confronto con quelle della restante area euro, delle banche italiane, queste ultime mantengono tassi attivi alti senza adeguarli alle variazioni negative dei tassi di finanziamento che la BCE applica per fornire liquidità al sistema. Dal 2011 al 2014, mentre il tasso di rifinanziamento principale si è ridotto allo 0,05 % (nel 2011 era l’1%), nella media i tassi provinciali sono addirittura aumentati dal 4,13% al 4,73%.

In condizioni “normali” dei mercati, i tassi bancari attivi si dovrebbero adeguare al movimento di quello praticato dalla banca centrale, ma la comune condizione di bassa redditività e di alte sofferenze limita l’operare della concorrenza tra le banche nonostante la depressa domanda di credito. Va anche detto che per le nuove operazioni di credito alle imprese i tassi attivi sono in riduzione, ma questo solo da alcuni trimestri e non riguarda tutte le operazioni: il tasso annuo effettivo globale sui mutui oltre 5 anni è ancora in crescita dal 2,38% del primo trimestre 2013 al 3,32% del primo 2015.


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