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Vi spiego come i nostri 007 stanno fermando Isis. Parla Andrea Margelletti

Volevano formare la prima vera cellula filo Isis individuata finora in Italia e realizzare un’azione eclatante da pubblicizzare su Twitter.

Un pakistano di 27 anni e un tunisino di 35 sono stati arrestati nel bresciano dalle Forze dell’ordine, dopo aver postato nei mesi scorsi sui social network inquietanti foto con lo sfondo del Colosseo o del Duomo attraverso le quali minacciavano le nostre città.

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Un modo d’agire tipico dei lupi solitari attivi in Occidente, spiega Andrea Margellettipresidente del Centro studi internazionali, che in una conversazione con Formiche.net analizza l’operato della nostra intelligence, i risultati del decreto anti terrorismo e rischi di infiltrazioni dei drappi neri nella Penisola.

Margelletti, l’Isis sta arrivando anche in Italia?

I due arrestati, come ​quasi tutti i simpatizzanti del gruppo che operano in Occidente lontano dalle aree del sedicente Califfato, sono profondamente disorganizzati. Ciò non significa che non costituiscano un pericolo, anche in virtù di questa imprevedibilità d’azione.

Tra gli obiettivi c’era anche quello di colpire la base militare di Ghedi. Lo ritiene verosimile?

Ovviamente tutti gli obiettivi sensibili son potenziali target. Ma una cosa sono gli annunci, che a volte sono più dei veri e propri sogni, un’altra le possibilità reale di colpire.

Almeno in apparenza, i due filo terroristi erano perfettamente integrati: avevano un regolare permesso di soggiorno e svolgevano un’attività lavorativa stabile.

Non mi stupisce. Anche se questo genere di radicalizzazione spesso prende corpo in ambienti come le carceri, come ha intuito tempo addietro la nostra intelligence, a volte questi episodi sfuggono a un’apparente razionalità.

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La Digos milanese, che ha eseguito gli arresti, e la polizia postale li hanno beccati monitorando la loro attività in Rete. È il segno che le novità contenute nel decreto anti terrorismo funzionano?

Se si guarda agli arresti ​mi pare di sì. Internet è il luogo dove spesso queste persone si radicalizzano, si incontrano o progettano i loro piani. In questo senso, il decreto è uno strumento che va nella direzione di rendere più agevole il lavoro degli inquirenti e che ben si adatta alla situazione contingente di pericolo.

Alcuni osservatori lamentano però che, nel contrasto al jihadismo, le Forze dell’ordine e l’intelligence italiane non sono dotate degli stessi strumenti, economici e legislativi, di altri Paesi.

Sotto alcuni aspetti è vero, ma mi lasci dire che la qualità dei nostri Servizi e delle nostre Forze dell’ordine è alta. Lo dimostra il fatto che, a differenza di altri Paesi, qui non sia ancora successo nulla. Abbiamo un sistema che funziona meglio di altri Stati. Tutto è senz’altro migliorabile, ma bisogna sempre tener presente che non esistono ricette magiche, ma solo la ricerca del migliore equilibrio tra sicurezza e privacy.

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L’Isis continua a minacciare la Penisola e talvolta a colpirla, come nel caso del consolato italiano al Cairo. Siamo più o meno sicuri di un anno fa?

Direi che non c’è un innalzamento della tensione, perché gli addetti ai lavori conoscono bene lo stato delle cose. Ritengo più pericoloso per la sicurezza dell’Italia ciò che accade in Libia, un Paese strategico perché si trova di fronte alle nostre coste e perché ci rifornisce di energia. Tranne i pur gravi episodi che coinvolgono lupi solitari, l’Isis al momento non ha alcuna possibilità di minacciare l’Italia e nessun altro Paese europeo. La verità è che la densità dei fenomeni terroristici in Europa collegati ai drappi neri è direttamente proporzionale all’aumento del caos in Medio Oriente e in Nord Africa. Finché non si interverrà con decisione in quelle aree, i riverberi arriveranno sino a noi.



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