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Vi spiego cosa unisce e cosa divide Renzi e Netanyahu. Parla Emanuele Ottolenghi

Mini tour israeliano per Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio si è recato ieri all’università di Tel Aviv dove è intervenuto a un convegno su innovazione e crescita, per poi andare allo Yad Vashem – il Museo dell’Olocausto – e infine alla residenza del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a Gerusalemme. Una serie di impegni che è proseguita anche oggi con un incontro col leader dell’opposizione Isaac Herzog, con il presidente dello Stato ebraico Reuven Rivlin e con un intervento alla Knesset, l’assemblea del Parlamento israeliano.

Quali le ragioni del viaggio? E quali i dossier discussi tra i due Paesi, in particolare dopo la valutazione positiva data dall’Italia dell’epilogo del negoziato nucleare con l’Iran?

Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con lo scrittore e accademico Emanuele Ottolenghi, senior fellow presso la Foundation for Defense of Democracies di Washington DC, già direttore del Transatlantic Institute di Bruxelles e docente di Storia d’Israele alla Oxford Centre for Hebrew and Jewish Studies.

Qual è lo scopo del viaggio del nostro presidente del Consiglio?

Da un lato ha l’obiettivo di cementare una continua crescita di scambi commerciali, di intelligence, di difesa e di alta tecnologia. Dall’altro fa parte di una lunga scia di viaggi che i leader dei Paesi occidentali faranno nelle prossime settimane in Israele per rassicurare il governo sugli effetti dell’accordo nucleare con l’Iran. Inoltre, è possibile che si sia anche discusso di come l’innovazione israeliana possa aiutare l’Italia ad affrontare alcuni problemi immediati e concreti, come la gestione dei flussi migratori che arrivano dal Nord Africa.

Cosa ha chiesto Netanyahu a Renzi?

Al di là di ciò che è emerso da dichiarazioni e dai ringraziamenti pubblici, come il riconoscimento della forte opposizione italiana all’antisemitismo, è probabile che abbia chiesto una posizione più amica da parte dell’Italia nei confronti di Israele nei consessi internazionali, come ad esempio l’Onu.

Come sono i rapporti tra i due Paesi?

Sono parecchio migliorati nel corso degli ultimi anni, li definirei molto buoni. Netanyahu li ha definiti speciali e c’è motivo di crederci.

Come si concilia tutto ciò con l’attenzione dimostrata dall’Italia nei confronti dell’Iran e del suo rientro nell’economia mondiale? I prossimi 4 e 5 agosto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e quello dello Sviluppo economico Federica Guidi si recheranno a Teheran.

L’approccio italiano non è poi così differente da quello che di tutti gli altri grandi Paesi, come Regno Unito o Germania. Chiaramente gli Stati occidentali sono interessati a vendere i loro prodotti a un mercato vasto come quello iraniano. Il problema, semmai, è un altro.

Ovvero?

La grande incognita è nell’accordo in sé. L’Occidente si illude di aver risolto il problema e di essere in grado di vigilare, ma non è facile prevedere cosa accadrà tra 10 anni, quando l’Iran sarà ugualmente in grado di produrre una bomba, ma avrà come sostegno un’economia prospera, a differenza di quella di oggi. Non mi stupisce che le dichiarazioni divergenti tra Netanyahu e Renzi siano arrivate solo su questo tema, che Israele continua a considerare un “errore storico”.


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