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Perché la Carta di Boldrini e Rodotà su Internet a me sembra solo fuffa

Oggi è stata presentata, presso la Camera dei Deputati, la “Dichiarazione dei diritti in Internet” nata dal lavoro della commissione di studio mista che ha coinvolto deputati, giornalisti, esperti del settore.

La presidente della Camera, Laura Boldrini, promotrice dell’iniziativa, intervenendo alla presentazione, ha sottolineato come la “dichiarazione dei diritti in internet” sia la prima del genere a essere stata prodotta nel mondo a livello istituzionale”.

I DUBBI

Questa dichiarazione solleva alcuni dubbi giuridici, sociali e pratici.

Per prima cosa occorre capire se ha validità, quindi se un cittadino domani in forza di questa carta può tutelare i propri diritti in sede giudiziaria. La risposta è negativa, non è una legge, non è un regolamento, non è nulla su cui si possa affermare o proteggere un diritto.

Stefano Rodotà, la mente scientifica di questa iniziativa, ha sottolineato in conferenza stampa come questa Dichiarazione sia una Carta dal valore politico e non giuridico.
Questa affermazione è un ulteriore elemento di confusione, sia perché non si comprende se si tratti di una Dichiarazione o di una Carta – le parole hanno sempre il loro peso – sia perché continua a essere imprecisa mostrando tutti i limiti di una accozzaglia di principi citati ma non risolti.

QUALCHE ESEMPIO

Facciamo un esempio: l’art. 11. (Diritto all’oblio) afferma: “Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei riferimenti ad informazioni che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza pubblica”. Al comma 3 recita: “Se la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati è stata accolta, (si presume dall’azienda che gestisce il motore di ricerca n.d.r.) chiunque può impugnare la decisione davanti all’autorità giudiziaria per garantire l’interesse pubblico all’informazione.
Nella pratica: Tizio desidera che venga cancellato un link in cui vengono riportate, dopo anni, notizie a lui sconvenienti. Chiede al motore di ricerca di cancellare il link. Il motore di ricerca accetta e “deve” rendere noto, immagino in apposito registro pubblico, l’avvenuta cancellazione. Caio, che desidera opporsi alla cancellazione, potrà farlo al magistrato competente. Ma davanti quale Corte? Nello Stato in cui ha sede l’azienda che gestisce il motore di ricerca? Presso il Tribunale di Caio o presso il proprio?
Come vedete, non solo come norma ma anche come mero principio questo lavoro è manchevole.

IL PROSSIMO PASSO

Quale sarà il prossimo passo di questa Dichiarazione o Carta?
Il prossimo passo auspicabile sarebbe quello che questa Dichiarazione per i diritti in Internet, finisca nel distruggi documenti, ma le cose belle non accadono mai in questo Paese, quindi possiamo immaginare che dalla Commissione di studio venga calendarizzata in una Commissione legislativa, quale è difficile ipotizzare, per poi arrivare in Aula.
Dal canto mio, se andassi domani, con questa dichiarazione dei diritti in Internet, davanti ad un magistrato, per far valere i diritti di un mio assistito, provocherei l’ilarità del giudice oltre a fare una pessima figura.

MANCANZE E SOVRAPPOSIZIONI

Inoltre questo lavoro si sovrappone, in modo imprudente, al nostro articolato costituzionale sui diritti e doveri, espresso dagli articoli 13-54 Costituzione, allorquando esprime il pericolosissimo presupposto che non sia più l’individuo come persona ad essere “titolare di un diritto”, ma l’individuo come “utilizzatore di internet” ad essere titolare di un diritto.
La sottile distinzione palesa tutta la fragilità della Commissione, del suo elaborato, della sua proposta.
La Dichiarazione nell’isterica azione di garantire i diritti “dei giusti” dimentica che la Rete, proprio per la sua terzietà è un mero strumento di comunicazione che favorisce anche condotte illecite che pongono seri pericoli alla libertà dell’Uomo.

La dichiarazione, articola su 14 articoli, se dovesse realmente essere una pietra angolare per i successivi interventi normativi andrebbe a interrompere ogni forma di intelligence anti terroristica, ogni forma investigativa in contrasto ai crimini informatici svolti attraverso l’uso di siti civetta o agenti infiltrati, ogni forma di tutela del diritto attraverso l’uso del (DRM) Digital Right Management.

Insomma i dubbi che apre questa “Dichiarazione dei diritti in Internet”, poi furbescamente addolcita nei documenti accompagnatori, come “carta dei principi ispiratori”, sono tanti e non ne avevamo di certo bisogno.
Non meravigliamoci quindi se il resto del mondo non aveva ancora adottato un simile documento.


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