Nei giorni in cui il governo di Ankara ha dato il là all’escalation contro le milizie jihadiste dello Stato islamico, sempre più minacciose ai confini con la Turchia, c’è chi dubita sulle reali motivazioni e i concreti obiettivi dell’operazione. Lasciando da parte puri calcoli d’opportunità politico elettorale (si parla sempre più insistentemente di un ritorno alle urne, viste le difficoltà che riscontra il premier incaricato, Ahmet Davutoglu, a formare un governo di coalizione), sono le chiese cristiane attive nel Vicino oriente a esprimere più di una perplessità verso Erdogan e i suoi propositi.
UNA SCUSA PER REGOLARE I CONTI CON I CURDI?
A questo proposito, merita d’essere rilevata l’intervista rilasciata da mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo dei latini, al telegiornale di Tv2000, la televisione della Conferenza episcopale italiana. “La gente teme che i turchi vogliano combattere i curdi sotto la scusa dell’Isis”, ha osservato il presule, che di Ankara non si fida affatto: “Se c’è una lotta contro l’Isis, va bene. Ma se è una scusa della Turchia per creare una zona indipendente dalla Siria, allora diventa un po’ pericoloso”. Insomma, “se è una scusa per combattere i curdi e aumentare la confusione e la violenza, allora non è un segnale positivo. Sappiamo bene che la Turchia ha permesso all’Isis di entrare, di armarsi e avere il loro addestramento”.
IL RUOLO DI ERDOGAN NELLA CRISI SIRIANA
Questo è il punto chiave: il ruolo di Ankara (della sua intelligenze e delle sue potentissime Forze armate, in particolare) nell’aver favorito il dilagare delle milizie jihadiste a cavallo della Siria e dell’Iraq. Non è un mistero che Recep Tayyip Erdogan sia da sempre tra i più convinti assertori della necessità di abbattere Bashar el Assad, così come di contenere (eufemismo) l’Iran. E’ il vecchio – ma quanto mai attuale – scontro tra sunniti e sciiti, l’eterna guerra intestina all’islam che sta raggiungendo il culmine in questi ultimi anni. ll sospetto, tra i cristiani che non ne vogliono sapere di finire sotto regimi sunniti e che continuano a vedere in Assad (giusto o sbagliato che sia) l’unica barriera al proliferare dei tagliagole, è che la Turchia stia dunque nascondendo le sue reali intenzioni.
I CAMPI DI ADDESTRAMENTO IN TURCHIA
Mons. Khazen sottolinea non a caso che “nei paesi limitrofi della Siria, tra cui anche la Turchia, ci sono dei veri e propri campi d’addestramento”. Concetti che il responsabile della chiesa armeno-cattolica di Qamishli, mons. Antraning Ayvazian, aveva reso ancora più palesi in una recente intervista al Foglio: “Ci separano 998 chilometri di confine. Quasi mille chilometri da cui entra di tutto, a cominciare dai jihadisti. Li vediamo ogni giorno, passano a gruppi di trecento, anche cinquecento. Un mio parrocchiano – racconta il sacerdote – è stato arrestato dalla polizia turca e gettato in carcere, in una cella di un metro per un metro. Vicino a lui, c’erano uomini con lunghe barbe pronti ad arruolarsi con lo Stato islamico. Per loro c’era ogni ben di dio, ogni richiesta veniva soddisfatta. Qualche agente li incitava a darsi da fare in Siria”.
“E’ UNA CHIESA MARTIRE”
La situazione sul terreno, quindi, rimane estremamente complessa. Solo qualche giorno fa, il patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphael I Sako, aveva nuovamente parlato dello sfacelo iracheno: “I cristiani pagano il prezzo di questa guerra settaria fra sunniti e sciiti, ma anche della guerra nel medio oriente. L’identità di questa Chiesa è quella di una Chiesa martire”. Riflessione accompagnata dai numeri: “Ci sono 120 mila sfollati”, e i “cristiani continuano a lasciare l’Iraq”. Ecco perché, “ci vuole un’azione effettiva, internazionale, perché questi paesi da soli non possono combattere l’Is, che è uno stato. Ha soldi, vende petrolio, ha armi e tanti jihadisti che aumentano”.
“NECESSARIO UN RINNOVAMENTO DELL’ISLAM”
Necessario, però, ha chiosato a Radio Vaticana il patriarca di Baghdad, anche “un rinnovamento della religione. I musulmani devono fare una lettura all’interno dell’islam per scoprire il messaggio positivo per la vita umana, il rispetto della dignità della persona”.