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Perché Lampedusa non ha nulla da imparare da Monaco

Tutti ad applaudire, giustamente, per carità, i volontari e i poliziotti che accolgono alla stazione di Monaco i profughi, o migranti, come preferiscono chiamarli Papa Francesco e papa Eugenio. Tutti a commuoversi e ad esaltarsi gioiosamente con le note di Beethoven che hanno accompagnato e accompagnano le marce di tanti disperati verso l’Europa non più marcia, direbbero al ManifestoNon più marcia dopo che la cancelliera tedesca Angela Merkel, non si sa se più generosa o più astuta, ha voltato pagina e aperto le sue frontiere. In particolare ai siriani, più adatti o utili alle esigenze della Germania e  in fuga da una guerra che ha distrutto il loro Paese fra l’indifferenza rivoltante di tutto il mondo, Germania compresa.

Nessuno però a ricordare i volontari e i poliziotti italiani che da anni soccorrono sulle coste i migranti che riescono a sfuggire alle carneficine programmate – sì,programmate – dagli scafisti che riscuotono alla partenza della “merce” umana e non all’arrivo, per cui non hanno l’obbligo alla sicurezza.

Lampedusa, per intendersi, non ha nulla da imparare e da invidiare a Monaco, se non l’assenza, oltre i confini tedeschi, delle bare per contenervi i resti di quanti da noi non ce l’hanno fatta ad arrivare vivi, per non parlare naturalmente di quelli, ancora più numerosi, finiti in fondo al mare.

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Purtroppo a fare a Lampedusa il torto di non apparire all’altezza di Monaco, a consentire alla Germania il sorpasso di un’Italia ben più drammaticamente alle prese con l’immigrazione, anche per via delle difficoltà economiche di casa nostra moltiplicate dai criteri teutonici di applicazione dei cosiddetti parametri europei, è la Lega di Matteo Salvini. Che preferisce guadagnare voti invocando la ruspa, cioè cavalcando la paura più che la speranza, il rifiuto più che l’accoglienza. E finendo non per abbreviare, come vorrebbe o proclama, ma per allungare la vita al governo dell’odiato Matteo Renzi. E per allontanare la prospettiva di un nuovo centrodestra, che pure, nonostante la sua situazione caotica, è l’unica alternativa decente a Renzi, a meno che non si preferisca, anche da parte di Salvini, quella di Grillo.

L’alternativa delle cinque o non so più quante stelle del suo movimento è molto meno divertente delle battute istrioniche di Grillo. Che arringa le piazze mirando più a farle divertire che a farle ragionare, perché in fondo, ma molto in fondo, è meglio morire ridendo che piangendo.

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Dicono che Angelino Alfano, che ha già tanti problemi come ministro dell’Interno, si è munito scaramanticamente di un grosso corno rosso per fronteggiare le profezie di sventura formulate per la decisione di spostare la sede del suo già tanto diviso partito in una strada romana, a due passi della Fontana di Trevi, dove hanno già fatto naufragio i partiti di Gianfranco Fini e di Mario Monti.

Ma oltre che dalla Fontana di Trevi, la nuova sede del partito di Alfano è a pochi passi da quella del Partito Democratico, che è il sogno o la meta neppure più tanto nascosta di tanti esponenti di quello che nacque meno di due anni fa come Nuovo Centro-Destra. Due anni durante i quali si sono consumate, da quelle parti, non so se più speranze o più illusioni.



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