Il New York Times ha elevato la notizia della presenza di militari russi in Siria al fianco delle forze governative dal “livello rumors” a quello di “fatto”. In un articolo uscito un paio di giorni fa, il giornale americano parlando della situazione racconta che Mosca ha inviato «military advance team» in Siria e trasportato materiale logistico in un aeroporto vicino Latakia: nel farlo cita «analisti dell’intelligence americana». C’è dunque una fonte ufficiale citata dal Nyt e rilanciata anche dal Los Angeles Times che dice che le osservazioni sui movimenti sono arrivate da immagini via satellite.
Questi articoli aprono una questione, perché ora l’Amministrazione americana si trova costretta a commentare e abbandonare la linea “rumors” che ha accompagnato le posizioni ufficiali, quelle in cui dichiaravano di non essere certi delle intenzioni russe. E perché la notizia è stata pubblicata dal più autorevole dei giornali, e perché il Nyt difficilmente esce dal solco della Casa Bianca. D’altronde attendere conferme dalla Russia, che ammise soltanto dopo due mesi il dispiegamento di truppe in Crimea, sembra impossibile: sotto quest’ottica, visto il livello di coinvolgimento “proxy” sul suolo siriano, Mosca sarà ancora più elusiva.
Evocare l’Ucraina può avere un senso: la situazione siriana è molto più complicata (molto più delicata, pericolosa, operativa, e con molti più attori sul campo di battaglia), ma il coinvolgimento russo può seguire lo schema visto nel caso dell’appoggio ai separatisti filo-russi. Attività di intelligence, osservazioni coi droni, advisor militari, passaggio di armi (anche pesanti) ─ solo l’invio di uomini sotto forma di “volontari” e “turisti” come quelli visti in Ucraina sarebbe più difficile, visto l’assenza di continuità territoriale. In più la complicazione di cui sopra crea caos, circostanza che permetterebbe ai russi di muoversi con più libertà: che detto in modo più chiaro, significa più azione, libera scelta degli obiettivi e del modo per colpirli. Da questo punto di vista, non sorprenderebbe se tra i target finissero anche i ribelli anti-governativi e non solo i nemici dichiarati, cioè lo Stato islamico.
Si diceva che ufficialmente la Casa Bianca non ha una posizione su quel che sta accadendo perché non ha ancora definito quali sono le intenzioni russe (o almeno, quelle che l’America pensa che siano). Il segretario di Stato americano John Kerry ha avuto una conversazione telefonica con l’omologo russo Sergei Lavrov in cui ha espresso la preoccupazione degli americani per l’evolversi della situazione. Il suo portavoce però non ha dato altre spiegazioni e dunque non si sa nemmeno se Kerry abbia chiesto a Lavrov qual è la strategia russa. Dunque: i funzionari dicono ai media che ci sono delle immagini che dimostrano i movimenti russi, la Casa Bianca dice “rumors”, Kerry chiama Lavrov e da per “fact” quelle immagini; ma nessuno che parli di come comportarsi poi e di quel che i russi stanno facendo. C’è un po’ di confusione.
Nel frattempo anche i funzionari siriani si sono rifiutati di confermare la notizia dell’aumento del coinvolgimento russo. «Un alleato fedele e solidale» dice diplomaticamente Damasco, ma non parla di un “nuovo aiuto”. Mentre le Tv di stato siriane dicono che l’aiuto russo c’è, eccome. Propaganda, utile al regime per tenere calma la base alawita del consenso. L’intervento russo potrebbe in effetti creare uno scudo protettivo nelle zone di Latakia, che permetterebbe agli abitanti delle terre di origine della setta degli Assad di ritrovare un po’ della fiducia che man mano stanno perdendo sulle reali possibilità di protezioni rimaste in mano al rais.
Allo stesso tempo, l’aumento della presenza russa è letta da alcuni analisti come una volontà geopolitica di Mosca: essere presente sul suolo siriano nel momento in cui il potere uscirà dalle mani del Dottore ─ quello che l’Iran sta facendo da tempo ─ per imprimere la propria direzione alla eventuale fase di transizione.
Nel frattempo, in contrasto con la posizione ufficiale della Casa Bianca, attendista e poco chiara, gli Stati Uniti avrebbero chiesto alla Grecia di negare il proprio spazio aereo ai voli russi diretti in Siria. La rivelazione esce da un funzionario greco sentito da Reuters. Ci sono voli regolari diretti dalla Russia alla propria base militare siriana a Tartus e altri diretti a Latakia che stanno portando aiuti umanitari e si occupano di far uscire dal paese i cittadini russi che vogliono andarsene. Ma gli americani con la richiesta ai greci (che per ora non hanno risposto) sembrano temere che si stia creando un ponte aereo per il trasporto di rifornimenti militari (uomini e materiali): la scorsa settimana il sito specializzato Flightradar24 ha registrato il movimento da e per la Siria di vari aerei da trasporto militare IL-76.
(Foto: archivio Formiche)