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Tutte le sterzate del Carroccio (da Bossi a Salvini) sulla Germania

Non esiste più la Lega alla quale mostra di pensare Aldo Cazzullo chiedendosi sul Corriere della Sera “dov’è la destra italiana di fronte alla svolta tedesca” in direzione della solidarietà verso i migranti. Per quanto si tratti, in verità, di una solidarietà selettiva, a beneficio non di tutti i disperati che bussano alle porte dell’Europa, ma soprattutto, se non soltanto, dei siriani. Che, guarda caso, sono o sono avvertiti a Berlino come i più adatti alle esigenze di casa.

La Lega che si ispirava al modello germanico è morta con Gianfranco Miglio, che orgogliosamente contava in tedesco le sue galline nell’orto di casa davanti a chi andava a trovarlo per ispirarsi, fra i dirigenti del Carroccio, o per intervistarlo, fra i giornalisti curiosi di conoscere il professore. Anzi, quella Lega era finita già prima della morte di Miglio, avvenuta nel 2001, quando già lui era entrato in rotta di collisione con i suoi ormai ex ammiratori. E Umberto Bossi in persona, allora incontrastato capo del movimento, ne parlava insultandolo.

La Lega di Matteo Salvini è cosa diversa. Che già diffidava dei tedeschi e della Merkel quando non si opponevano abbastanza all’accoglienza dei migranti. Figurarsi ora che hanno aperto all’immigrazione, sia pure – ripeto – in modo selettivo, continuando a scaricare sull’Italia quanti, non meno disperati dei siriani, provengono dall’Africa. Che Romano Prodi, già presidente della Commissione europea di Bruxelles, giustamente indica come la polveriera più grande e pericolosa del fenomeno migratorio.

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Coerente con le critiche già formulate nei mesi e negli anni scorsi alla gestione teutonica dei parametri economici e finanziari dell’Unione Europea, l’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, liberale, ha auspicato che alla svolta sul terreno dell’immigrazione ne segua presto un’altra, sempre della cancelliera Angela Merkel, sul terreno della solidarietà con i Paesi del vecchio continente che non ce la fanno a marciare al passo dell’oca con i loro conti.

Di quei parametri, in effetti, chiamati “stupidi” da Prodi quando ancora presiedeva la Commissione europea, sarebbe il caso di fare un bilancio dopo 23 anni di applicazione, di cui solo l’ultimo all’insegna di una “flessibilità” di cui tuttavia le chiavi d’interpretazione e di esecuzione rimangono sostanzialmente a Berlino.

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Immagino le reazioni del presidente del Consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi al manifesto promosso dal presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky e amici contro il progetto governativo di riforma del Senato, all’esame dello stesso Senato in seconda lettura, come si dice in gergo tecnico. Un manifesto nel quale si avverte “il Vincitore”, cioè Renzi, che “è destinato a essere travolto, prima o dopo, del suo orgoglio o della sua ingenuità, mal posti”, visto che propende a “umiliare il Parlamento”.

Scaramantico come finisce per diventare in Italia qualsiasi presidente del Consiglio, Renzi avrà strapazzato sino a strappare il cavallo dei suoi pantaloni, che già gli vanno forse troppo stretti.


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