Puntando sull’emozione piuttosto che sulla ragione ci approssimiamo a un passo falso, in tema d’immigrazione. Un errore grave, data la rilevanza (sotto tutti gli aspetti) del problema e la previsione che sarà ancora presente nel futuro. Il Pentagono parla di venti anni, ma più semplicemente si deve dire che non se ne vede la fine.
Un errore montato su due pilastri:
1) cancellare dall’agenda la questione delle migrazioni e iscriverci quella dei siriani;
2) supporre che lo strumento da approntarsi sia quello delle quote nazionali, per ripartirseli, piuttosto che il controllo delle frontiere.
Il conflitto fra interessi diversi, dentro l’Unione europea, non è fra paesi buoni e paesi cattivi, fra generosi ed egoisti, versione fumettistica e patetica, ma fra chi ha frontiere esterne e chi le ha solo interne. Il secondo pilastro è quello cui rischiamo di finire inchiodati.
La guerra, in Siria, dal 2011 a oggi, ha causato più di 240mila morti. Il fatto che non siano stati fotografati, mentre crepavano, non li cancella dalla storia e dalla coscienza. In Siria sono oggi presenti militari russi, come in passato ve ne furono di sovietici. Per molto meno di quel che Assad ha fatto al suo popolo Gheddafi fu fatto fuori. Ma, si dice, Assad combatte contro l’Is. Anche Gheddafi.
Assad, in più, è un nemico di Israele e un alleato dell’Iran. La bilancia del demonio pende a suo favore. La questione siriana non si esaurisce certo in queste poche parole, ma bastano per porre un problema: chi decide quali sono i profughi per cui commuoversi e quelli per cui girarsi dall’altra parte?
La Germania ha unilateralmente deciso di accogliere i siriani, conquistandosi un posto nella bacheca della bontà. E’ stata una scelta in contrasto con l’ipotesi di una politica europea comune, proprio perché unilaterale. Sta di fatto che, da quel momento, complice l’enorme pressione sulle frontiere ungheresi, tutta la riflessione sull’immigrazione è concentrata sui siriani. Errore.
Intanto perché i profughi, quindi coloro i quali hanno diritto ad essere soccorsi e accolti, non vengono solo da lì. Se si vuole una politica comune si deve parlare tutti e di tutti, altrimenti si tratta di una scelta politica fatta da un solo Paese. Non c’è alcun dubbio sul fatto che i profughi abbiano diritto all’asilo. I problemi sono tre:
a) chi sono, come li si riconosce;
b) quale è il limite oltre al quale vanno redistribuiti non solo dentro l’Ue, ma anche fuori, perché troppi;
c) quale è la condizione in cui ci si pone il problema della guerra che li fa scappare, lavorando per farla cessare, il che comporta considerare come propria la guerra all’Is e come non desiderata l’alleanza di Assad. E comporta che ai turchi che si decidono a non offrire più coperture all’Is non si consenta di bombardare i curdi. Questi sono i dilemmi da affrontare, se dietro al piagnucolio non s’intende coprire le decisioni politiche di altri.
Le quote obbligatorie hanno un senso a fronte della comune politica, altrimenti, sia nella versione accoglienza che in quella del pagamento, in vil denaro, per mancata accoglienza, diventano supporto a politiche estere non comuni. Da qui deriva la stoltezza del secondo pilastro, perché se si sente (finalmente) il problema come comune, non lo si affronta dicendo: mandateci i siriani, prendetevene una parte e pagate per quelli che non prendete. Se è problema comune allora comune deve essere la politica d’accoglienza, il che comporta comune amministrazione delle frontiere esterne, salvaguardando le conquiste (Shengen) in quelle interne.Se così non si procede non solo l’invocazione di più Europa e più integrazione si traduce in un gargarismo ipocrita, ma l’Italia si troverà in guai peggiori, perché il resto della pressione migratoria, fatta di gente in carne e ossa, di drammi umani, di bambini proiettati verso la speranza di una vita migliore, resterà problema di chi li vede alla propria frontiera, di chi va a salvarli dalla morte per annegamento, di chi deve sobbarcarsi il gravosissimo e necessario compito di rifiutarli e rispedirli indietro. Non essendo neanche in grado di farlo. Il tutto in uno schiumare di paure, ostilità, pregiudizi, impotenza, buonismi e cattivismi. Un cocktail venefico, che già sorseggiamo da tempo.
C’è chi crede che il vertice europeo, del prossimo 14 settembre, sarà inutile. Potrebbe essere dannoso se in quella sede non si sarà capaci d’impostare correttamente la questione. Ci stiamo impiccando al chiodo meno insidioso, quello dei profughi, dimenticandoci quanto stringe il cappio appeso al chiodo più solido, quello delle migrazioni economiche. Né un bimbo profugo muore di più di un bimbo migrante.
(post tratto dal profilo Facebook di Davide Giacalone)