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Così il fianco Sud è rientrato nel radar della Nato

La minaccia russa in Ucraina non è certo passata in secondo piano, ma nelle stanze della Nato cresce l’attenzione per il cosiddetto fianco Sud, il fronte strategico che abbraccia anche l’Italia e che ha avuto finora, nella Penisola, il proprio “ventre molle”. Complici le crepe aperte dalla crisi libica e dall’avanzata dello Stato Islamico in Iraq e Siria, la sicurezza dell’area mediterranea sta tornando centrale, come si evince non solo dalla recente visita a Sigonella del numero uno del Pentagono, Ashton Carter, ma anche dall’agenda del vertice dell’Alleanza Atlantica in programma oggi a Bruxelles, dove si incontreranno i 28 ministri della Difesa dei Paesi membri della Nato.

LE PAROLE DI LUTE

A ulteriore conferma di come Washington non sottovaluti la pressione, non solo migratoria, a cui alcuni alleati sono sottoposti, ci sono anche nuove dichiarazioni, come quelle del generale Douglas Lute. Ieri, a confronto con i giornalisti, l’ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso la Nato ha annunciato che, tra i temi più importanti di questo summit, ci saranno anche “le sfide” che riguardano il Sud dell’Alleanza, “compresa la Libia”. Un segnale di attenzione verso l’intero quadrante, ma in particolare nei confronti dell’Italia, la nazione maggiormente colpita dal caos che ha travolto l’ex regno di Muammar Gheddafi.

LE MOSSE DELL’ALLEANZA

In particolare, ha spiegato ancora Lute, “a sud e a sud-est la Nato sta mettendo in atto sforzi per un’opera di defense capacity building con la Giordania e l’Iraq, mentre stiamo aspettando di compiere una cosa simile con la Libia, quando la situazione politica lo permetterà”. Cioè, quando il negoziato dell’Onu, condotto fino al 20 ottobre dallo spagnolo Bernardino León, raggiungerà l’obiettivo della formazione d’un governo di unità nazionale. Inoltre, ha ricordato che al vertice in Galles, nel 2014, gli alleati hanno deciso di potenziare la prontezza e l’efficienza di tutte le forze armate, “a partire della Very High Readiness Joint Task Force (Vjtf), la forza congiunta di pronto intervento che sarà pienamente operativa nel 2016” e che l’Italia si è offerta di guidare. “Penso”, ha sottolineato ancora il diplomatico, “che la componente marittima di questa forza di risposta rapida” di 5 mila uomini, così come “quelle aeree, d’intelligence e delle operazioni speciali, saranno dispiegate con molta più probabilità a Sud”. Un progetto che si coniuga alla decisione, da parte dei 28, di stanziare nuovi fondi per il contrasto all’Isis (26 membri Nato e oltre 50 partner aderiscono alla coalizione internazionale a guida americana contro il Daesh, una parte rilevante).

L’ORIZZONTE DI CARTER

Dell’argomento, per certi versi, ha parlato anche Carter nel suo viaggio in Italia. Prima di volare alla volta di Bruxelles per la ministeriale dell’Alleanza Atlantica di oggi, il segretario alla Difesa Usa – azionista di maggioranza della Nato – ha visitato martedì Sigonella, mentre ieri ha incontrato il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Intervenuto durante una conferenza stampa congiunta con la titolare del dicastero di Via XX Settembre, Carter ha definito la base siciliana una “piattaforma strategica per il lancio di operazioni in Africa, in Europa e nel Mediterraneo”.

I NODI DA SCIOGLIERE

Il numero uno del Pentagono, però, contrariamente alle attese, non ha fatto riferimenti espliciti a un maggiore ruolo della Penisola nella regione, ma si è limitato a dire che “l’Italia capisce bene l’esigenza di investire in personale umano e in capacità che sono richieste per mantenere la nostra difesa comune al fianco degli alleati Nato per fare fronte alle minacce da sud, da est e in tutto il mondo”. Perché malgrado le rinnovate attenzioni di Usa e Nato, non tutto è chiaro. Sulla prudenza di Washington pesano probabilmente non tanto le polemiche della vigilia su un maggiore impegno nella coalizione anti Isis con un ruolo anche offensivo dei Tornado italiani che operano in Iraq, ma piuttosto alcuni nodi ancora da sciogliere da parte dell’esecutivo. Ad esempio il dossier Muos, il sistema satellitare a servizio degli Usa e dei suoi alleati, con quattro basi nel mondo, di cui una a Niscemi (Caltanissetta), già al centro di beghe politiche e giudiziarie a tutt’oggi fermo.

LO SCATTO CHE SERVE

In gioco, aveva scritto il 4 aprile scorso sul Corriere della Sera il politologo Angelo Panebianco, ci sono da un lato “la capacità del Paese di dimostrarsi un partner affidabile per i suoi alleati militari” (e non solo); dall’altro la nostra stessa sicurezza, perché “l’interesse nazionale italiano ci spinge a chiedere un impegno della Nato sul fronte Sud assai maggiore di quello attuale”, che presuppone la fiducia di Washington. E se vicende come quella siciliana non dovessero avere un epilogo felice, proseguiva Panebianco, “con che faccia, con che credibilità potremo sostenere queste richieste?”.



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