Intercettare il Boeing, catturare i terroristi e portarli negli Usa. Questo il piano americano per risolvere il caso dell’Achille Lauro, la nave da crociera italiana di cui un commando palestinese si era impossessato il 7 ottobre 1985, per attaccare la cittadina costiera israeliana di Ashdod. Quando il progetto fallì, i terroristi minacciarono di assassinare un passeggero ogni ora se Israele non avesse liberato 50 prigionieri. Il governo Craxi pensò di usare forze speciali, ma si attivò per una soluzione diplomatica incentrata sulla liberazione della nave in cambio di un salvacondotto per i dirottatori, purché non vi fossero vittime.
In realtà il giorno successivo i palestinesi uccisero l’americano Leon Klinghoffer, scelto perché ebreo. Molte polemiche ruotano ancora attorno all’incertezza se al momento dell’accordo l’Italia fosse consapevole dell’omicidio. Israele ne era sicura, ma condivise l’informazione solo con gli Stati Uniti. A loro volta questi non informarono l’Italia, pensando che sarebbe stato più facile mettere l’alleato davanti al fatto compiuto. Si posero così le premesse per la drammatica notte del 10 ottobre. Reagan affidò la gestione dell’intercettazione al National security council, che si rivolse al maggiore generale Carl Stiner, comandante delle Joint special operation forces.
(CHI C’ERA ALLA NOTTE DI SIGONELLA CON STEFANIA CRAXI. LE FOTO DI PIZZI)
Stiner fece subito caricare materiali di ogni genere, dalle radio satellitari agli elicotteri Hughes MH-6 armati, su due Lockheed C-141. Infine salirono gli uomini della Delta Force. Poiché la nave incrociava davanti l’Egitto, i quadrireattori decollarono per Cipro. Stiner allertò anche gli incursori di marina Seal preposizionati a Sigonella, base del 41° Stormo dell’Aeronautica militare sulla quale la US Navy operava dal 1959. Quando i palestinesi, compreso il loro capo Abu Abbas, salirono sul Boeing 737, i servizi israeliani segnalarono volo (Egyptair 2843) e identità dell’aereo (SU-AYK). Mentre la diplomazia Usa si attivava per fargli vietare l’atterraggio a Tunisi e Atene, le informazioni furono passate alla 6a Flotta, in Mediterraneo per l’esercitazione Display Determination ‘85.
La Saratoga fece decollare caccia Grumman F-14A Tomcat e aerei radar Grumman E-2C Hawkeye. C’erano anche aerei cisterna e da guerra elettronica, imbarcati e terrestri. I caccia volavano a luci spente e avevano ordine di identificare il Boeing a vista. Un F-14 gli si avvicinò tanto da leggere “SU-AYK” con una lampadina tascabile e l’E-2C ordinò al comandante egiziano e ai C-141 di dirigere sulla Sicilia. Per atterrare a Sigonella serviva l’autorizzazione italiana, ma quando la Casa Bianca tentò di contattare Craxi non lo trovò. Con minacce e blandizie, Michael Ledeen riuscì prima a farselo passare e poi a strappargli il permesso di far atterrare 737 e F-14. Nulla fu detto dei C-141, della Delta Force e delle intenzioni americane. Sigonella era già in allarme.
Intorno alle 22.30 il colonnello Ercolano Annichiarico, che la mattina dopo avrebbe dovuto lasciare il comando della base, era stato avvertito dell’arrivo di una formazione americana. La richiesta, negata, veniva dai Tomcat, a 240 km dallo scalo siciliano. Interrotta la cena di commiato, Annichiarico corse in aeroporto, dove l’ufficiale di guardia gli spiegò di aver notato strani movimenti americani. Per saperne di più si era recato in sala radar, dove, contrariamente a quanto accadeva quando non c’era traffico aereo statunitense, aveva trovato gli operatori americani. Questo lo aveva indotto a mettere in allarme il plotone di pronto intervento della Vigilanza aeronautica militare (Vam).
(TUTTI I BERLUSCONIANI ED EX SOCIALISTI PER IL DOCUFILM SU SIGONELLA. FOTO DI PIZZI)
Alle 23.57 Craxi avvisò l’ammiraglio Fulvio Martini, direttore del Sismi, che tentò di raggiungere i vertici militari italiani. Non trovandoli, diede egli stesso l’autorizzazione tramite la sala situazioni dello stato maggiore dell’Aeronautica. Seguito dai due C-141 né autorizzati né previsti, il Boeing toccò terra poco dopo mezzanotte. Appena si fermò, il Seal team six lo circondò e Stiner andò a parlare. Intanto dai C-141 scendeva la Delta Force. Fu allora che Stiner, che gli italiani chiamavano Steiner, capì che qualcosa non andava. Attorno al Team six erano schierati 30 Vam e 20 carabinieri racimolati in fretta e furia e alcuni camion bloccavano la pista. Armi in pugno, la Delta Force circondò gli italiani, che a loro volta circondarono gli americani con rinforzi inviati dai carabinieri, compresi alcuni blindati giunti da Catania. Addio colpo di mano.
Per sbloccare la situazione facendo leva sulle diverse posizioni politiche presenti nel governo, vari ministri americani chiamarono gli omologhi italiani. Alle 3.30 Reagan parlò con Craxi, che negò la consegna dei palestinesi spiegandola con la sovranità nazionale. Alle 5.30 dell’11 ottobre, Washington ordinò a Stiner di rinunciare. Dieci minuti dopo, i quattro autori materiali furono arrestati dalla polizia italiana. Alle 6 giunsero, con un jet dei servizi, Martini e l’ambasciatore Badini, consigliere diplomatico di Craxi. Con Abbas e Omar Ossein decisi a non lasciare il Boeing egiziano, la giornata trascorse tra trattative e telefonate (satellitari per Stiner, Sip per Martini, costretto a fare avanti e indietro).
Nel pomeriggio Craxi spiegò la posizione italiana, incentrata sulla sovranità: l’Achille Lauro era territorio italiano e quindi la competenza sui reati commessi a bordo era della magistratura italiana, che avrebbe valutato la richiesta di estradizione preannunciata da Reagan. Il Boeing poteva ripartire. Si decise di portarlo a Ciampino per mantenerlo sotto controllo italiano fin quando l’Achille Lauro avesse ricevuto l’autorizzazione a lasciare Port Said, dove gli egiziani l’avevano bloccata in seguito all’azione americana. Preceduto dal Falcon di Martini, il 737 lasciò Sigonella alle 22.01. Ma Stiner non voleva arrendersi. Con la pista ancora bloccata, il generale decollò a luci spente con un bireattore da collegamento T-39.
(CHI C’ERA ALLA NOTTE DI SIGONELLA CON STEFANIA CRAXI. LE FOTO DI PIZZI)
Secondo diverse fonti italiane, il T-39 sarebbe stato accompagnato da un F-14, forse lanciato direttamente dalla Saratoga. Per evitare un secondo dirottamento americano, l’Aeronautica aveva fatto decollare due F-104S Starfighter del 36° Stormo. Lasciata Gioia del Colle, i caccia, che erano armati, fecero rotta verso nord-ovest e virarono quindi verso sud per intercettare frontalmente il Boeing e la sua ombra, che usava il nominativo radio Ghost Flight 01. L’ordine era di mettersi in coda, ma per evitare che la posizione sembrasse minacciosa e scatenare la reazione dell’F-14 si preferì affiancarli: un 104 si mise in ala al 737 e l’altro al presunto F-14, che accese un faro accecante che ne impediva il riconoscimento. In prossimità di Ciampino Ghost Flight 01 spense il faro e si allontanò bruscamente. Per tutta risposta, l’Aeronautica ordinò il decollo di altri due F-104S, questa volta del 9° Stormo di Grazzanise.
Volando in supersonico, giunsero su Ciampino, mentre il Boeing stava atterrando scortato dai due caccia del 36°. Assicuratisi dell’atterraggio, gli F-104 riattaccarono e, ormai a corto di carburante, diressero su Grazzanise insieme ai colleghi del 9°. Erano le 22.40. Subito dietro il Boeing atterrò il T-39, prima respinto e poi autorizzato a fronte di una pretestuosa emergenza. Stiner tentò di avvicinarsi ma fu bloccato senza troppi riguardi. Il T-39 restò a Ciampino fino al mattino, quando ripartì per Francoforte. Alle 05.30 del 12 ottobre l’Italia ricevette la richiesta di estradizione, che fu respinta alle 13.30 per mancanza di prove. L’ultimo atto fu allontanare i due palestinesi dall’Italia. Alle 18.25 il Boeing atterrò a Fiumicino, dove gli ormai ingombranti passeggeri furono imbarcati sotto falso nome su un volo Jat per Belgrado.
I rapporti con gli Usa si ricucirono più in fretta delle polemiche politiche. Il 6 novembre Craxi riferì alla Camera. Non è chiaro quali lezioni i militari trassero a caldo. “La Marina militare ha visto confermata la irrinunciabilità di una aviazione imbarcata”, scrisse all’epoca Carlo De Risio, che viaggiava con Martini sul Falcon dei servizi. Oggi le lezioni appaiono piuttosto la necessità di comunicazioni dirette tra forze sul campo e autorità di vertice, di sistemi elettronici per ascoltare o disturbare le comunicazioni, di caccia in grado di fronteggiare le sfide meno prevedibili. Nonostante resistenze politico-culturali, su questi punti l’Italia ha fatto grandi progressi.
L’articolo è tratto da uno speciale sui 30 anni della crisi di Sigonella, pubblicato sul numero della rivista Airpress di Settembre 2015