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Ecco come continua la guerra tra Marino e il Pd

C’è un aggettivo obiettivamente di troppo nella “verifica” propostasi da Ignazio Marino annunciando le proprie dimissioni da sindaco di Roma e prendendosi tutti i venti giorni concessigli dalla legge per poterci ripensare. Poi potranno scattare le procedure per sciogliere il Consiglio Comunale e sostituirlo con un commissario, in attesa di nuove elezioni in primavera, salvo rinvii per la sovrapposizione al Giubileo.

La verifica “seria” di Marino riguarda le “condizioni” in cui riprendere eventualmente un lavoro “epocale” di rilancio e di bonifica ch’egli ritiene di avere portato avanti in più di due anni di amministrazione, con risultati secondo lui visibili. Altro aggettivo superfluo, anzi esagerato. E siamo a due.

Visibile è oggettivamente un po’ troppo, dato che a vedersi ogni giorno, per non dire ogni ora, per le strade di Roma e in ogni posto dove il cittadino si aspetta di essere servito dal Comune, sono prevalentemente disservizi e sprechi. Dei quali il sindaco dimissionario ha cercato sempre di attribuire le colpe ad altri o altro: i predecessori o le mani troppo legate dalle leggi per licenziare lavativi e disonesti. Mai è venuta in mente a Marino l’idea di potersi essere rivelato anche lui non all’altezza della situazione. Mai.

Quanto all’altro aggettivo, è francamente difficile pensare ad una verifica “seria” che parte da una circostanza così poco seria come le dimissioni praticamente imposte dallo sgomento suscitato ovunque, a sinistra, a destra e nel suo stesso partito, dalle cosiddette spese di rappresentanza, relative ad una serie di costose cene alle quali risultano, per testimonianze o smentite plurime, invitati diversi da quelli indicati da Marino con tanto di dichiarazioni sottoscritte di suo pugno per giustificare il carattere di servizio della sua generosa ospitalità.

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Nella foga del commiato, con la curiosa o minacciosa riserva di ripensarci, anche a costo di beccarsi un voto di sfiducia nell’aula di Giulio Cesare, o le dimissioni quasi in massa del Consiglio Comunale ormai in bilico, Marino si è lasciato scappare un altro aggettivo di troppo – e siamo al  terzo – quando ha parlato di polemiche “manipolate” sui suoi incontri conviviali a spese del Campidoglio.

In questa brutta vicenda delle cene, di manipolato – nel senso di diverso dalla realtà – risulta finora, salvo esiti contrari delle indagini aperte a vari livelli, l’elenco degli ospiti indicati dal sindaco ora dimissionario. Che, d’altronde, si è mostrato così poco convinto di quelle indicazioni da avere lui stesso rinunciato alla carta di credito del Comune e avere deciso la restituzione di ventimila euro, dei 150 mila spesi, non si è capito bene se in uno o più anni.

Marino, in verità, ha chiamato questa restituzione “un regalo” alla città, ricorrendo ancora una volta ad un uso, diciamo così, disinvolto delle parole. Un regalo che si è illuso potesse bastare ed avanzare per fermare l’ondata di critiche e di altre reazioni politiche che lo stava travolgendo. E che, come accade a tutte le ondate, si è portato via tutto, anche le buone intenzioni e i meriti che Marino ritiene, a ragione o a torto, di avere acquisito. Come il “taglio dei tentacoli della mafia”, vantato dal sindaco dimissionario, forte del fatto di essere stato sfiorato ma non coinvolto direttamente dalle omonime indagini giudiziarie e dal processo che sta per aprirsi a Roma. Dove Marino ha orgogliosamente ricordato di avere portato il Comune come parte civile, cioè danneggiata. E non v’è dubbio che l’amministrazione capitolina di danni e offese ne ha subìto dagli affari delle cooperative degli imputati di “Mafia Capitale”, come viene chiamata la vicenda giudiziaria in corso.

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Particolarmente a pezzi esce dalle dimissioni di Marino il suo rapporto con il partito di provenienza, il Pd ora guidato da Matteo Renzi, allusivamente indicato nel pur minaccioso commiato come quello che gli ha fatto mancare l’appoggio dovuto. Ancora più pesantemente allusive sono le dichiarazioni attribuite dalla Stampa allo stesso Marino: “Se non fosse arrivata la storia degli scontrini, mi avrebbero messo la cocaina nelle tasche”.

Il Pd d’altronde non ha nascosto la sua soddisfazione per l’arrivo del sindaco dimissionario al “Capolinea”,come ha gridato il titolo a tutta pagina dell’UnitàCui corrisponde la vignetta, al solito, tagliente di Giannelli sul Corrieredove Marino è malinconicamente seduto da solo ad un tavolo di ristorante con il presidente e commissario del Pd Matteo Orfini in veste di cameriere che gli presenta il conto. Una scena che si ritrova in qualche modo in questa pungentissima apertura dell’articolo di Francesco Merlo su Repubblica dedicato a Marino, “unico sindaco nella storia d’Italia ad essere stato dimesso dai camerieri delle trattorie, che a Roma sono i ciambellani del potere”.

Nei suoi risentimenti contro un partito che lo avrebbe mal digerito dall’inizio, considerandolo un marziano, e alla fine lo avrebbe brutalmente scaricato, Marino ha trovato una sponda solo nel Fatto. Che in un titolo vistosissimo di prima pagina lo ha indicato nell’immaginario di Renzi come “il mostro di Loch Ness”, al posto di quello che lo stesso Renzi si è recentemente rifiutato di vedere in Denis Verdini, uscito con i suoi da Forza Italia per dare una mano nelle aule parlamentari al governo. Che neppure Berlusconi, però, si risparmia ogni tanto di fare aiutare dai suoi senatori, com’è appena avvenuto in qualche votazione sulla riforma costituzionale, fra le proteste e le derisioni di grillini e leghisti insieme.

Ah, dove si riesce ad arrivare partendo da Marino.

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