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L’Italia per bombardare Isis in Irak deve avere l’ok del Parlamento?

La notizia che il governo sta valutando se i nostri Tornado schierati in Kuwait debbano partecipare appieno alle operazioni della coalizione anti-ISIS, quindi bombardare le forze dell’autoproclamato Califfato, ha subito scatenato le usuali polemiche italiche.

Due mi sembrano i punti della questione. Il primo riguarda la liceità dell’intervento e il grado di coinvolgimento del Parlamento nella decisione di mutare le regole d’ingaggio delle nostre forze in Iraq: quattro Tornado, per ora limitati a missioni di ricognizione, due Predator, non armati, e circa 300 addestratori, fra Esercito e Arma dei Carabinieri. Il nostro intervento, richiesto da Baghdad e sollecitato dai nostri alleati, è coordinato con il governo iracheno e con il Central Command USA, responsabile della condotta delle operazioni.

Il secondo punto da valutare riguarda l’interesse italiano ad avere una partecipazione più attiva, per l’appunto autorizzando i nostri cacciabombardieri a partecipare anche alle missioni di bombardamento, anziché stare con un piede dentro e un piede fuori, lasciando che gli altri facciano il lavoro sporco. Insomma, una furbata rivolta soprattutto alle nostre frammentate forze politiche.

Sotto l’aspetto giuridico, come al solito, si è tirato in ballo l’art. 11 della Costituzione, con le usuali interpretazioni superficiali e tendenziose. I contrari all’intervento ne sottolineano la sola prima parte, quella che prescrive il ripudio della guerra di aggressione. Ne trascurano invece la seconda e sembrano ignorare gli atti dell’Assemblea dei 75 “padri costituenti”, invece necessari per capire perché l’articolo sia stato formulato in tali termini. I Costituenti respinsero due emendamenti che avrebbero reso la Costituzione completamente “pacifista”: quello Cairo sulla neutralità perpetua e quello Calosso, che prevedeva anche il “pacifismo assoluto”, alla giapponese, tanto per intenderci. Erano determinati a escludere l’isolamento del paese e a collocare l’Italia nella comunità internazionale, in particolare nell’ONU.

Nelle discussioni sui Tornado è stato ricordato sempre a sproposito il disposto costituzionale circa la dichiarazione dello “stato di guerra” (art. 78 e 87). Esso era volto in particolare a legittimare il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo, necessario per fronteggiare le esigenze belliche, ma non corrisponde più alla realtà della conflittualità internazionale, in cui non esiste più la “guerra in forma”. La Carta considera poi solo due “stati”: la pace assoluta e la guerra totale. Sfortunatamente, a differenza quanto avviene in altri Stati, non considera la “zona grigia” esistente fra le due, quale le operazioni di pace o quelle derivanti dalla “responsabilità di proteggere” (R2P). Sono queste le situazioni reali in cui l’Italia impiega la forza, nell’ambito delle alleanze e delle istituzioni internazionali a cui partecipa.

Il coinvolgimento del Parlamento per l’autorizzazione del mutamento della missione dei Tornado – dalla ricognizione al bombardamento – è opportuno, ma nel caso particolare non indispensabile. E’ “coperto” dalla risoluzione delle Commissioni congiunte Difesa ed Esteri dell’estate 2014, che autorizzava la partecipazione italiana alla coalizione. Lo si voglia o no, sin dall’inizio la missione è stata di combattimento. Una nuova approvazione parlamentare è opportuna anche come segnale del sostegno del Parlamento ai nostri militari che rischiano la vita in Iraq.

Lo stesso dicasi per l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E’ resa superflua dal fatto che è lo stesso governo di Baghdad a chiedere il sostegno armato della coalizione. Diverso sarebbe il caso della Siria. Il governo di Damasco lo ha chiesto solo alla Russia.

(prima parte di un’analisi più ampia; la seconda parte sarà pubblicata domani)

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