Domenica la televisione di Stato iraniana ha annunciato che il giornalista del Washington Post Jason Rezaian, recluso in un carcere di massima sicurezza in Iran con l’accusa di spionaggio dal luglio 2014, è stato condannato. Il processo si è svolto a porte chiuse, senza che l’avvocata del giornalista potesse presenziare, e nemmeno l’entità della condanna è stata ancora resa nota. Non una novità visto il basso standard sul rispetto dei diritti umani nel Paese, confermato da poco anche dall’ultimo rapporto di Human Rights Watch.
Sempre domenica, la tv di Stato di Teheran ha mostrato le immagini del test del suo nuovo missile balistico guidato, l’Emad, il “pilastro”. Il test è una sfida ai divieti delle Nazioni Unite, che segna il progresso nel tentativo iraniano di migliorare la potenza e la precisione del proprio arsenale, e bypassa direttamente le sanzioni internazionali ancora in vigore sui propri armamenti.
L’Iran non può costruire queste tecnologie militari. Le Nazioni Unite, pochi giorni dopo la chiusura del deal sul nucleare, hanno approvato una risoluzione che vieta all’Iran di intraprendere qualsiasi “ricerca” militare per realizzare vettori compatibili con il trasporto di testate atomiche. Emad è un missile di questo genere. Inoltre è ancora in piedi il divieto di assistere l’Iran nella produzione di tale tipo di armi, imposto dal Consiglio di sicurezza dell’Onu alle altre nazioni, aspetto che non rientra tra le sanzioni che saranno sollevate dalla ratifica conclusiva degli accordi di Vienna.
Il ministro della Difesa iraniano, Hossein Dehghan, nella conferenza stampa di presentazione dell’arma ha dichiarato: «Noi non chiediamo il permesso a nessuno per migliorare le nostre capacità missilistiche e di difesa» e «aumentare il nostro potere aumenterà la pace nella regione». Maggiore chiarezza era difficile da richiedere.
La geopolitica mediorientale, infiammata dalla proliferazione dello Stato islamico, ruota anche intorno alla deterrenza nucleare: Israele teme di perdere il primato con l’accordo internazionale che permetterà all’Iran di procedere con il progetto civile, in quanto crede che la Repubblica islamica, nemica esistenziale dello stato ebraico, non rispetterà gli accordi e continuerà gli studi per “la bomba”.
Già ad agosto l’Iran aveva presentato un altro missile, il Fateh-313, ma a corto raggio. Segno evidente della volontà di aggiornare il proprio comparto missilistico, anche se gli analisti ritengono che prima di padroneggiare certe tecnologie saranno necessari anni di test. Per tale ragione, per il momento, questo genere di armi hanno più un peso politico che militare. E rappresentano, più che un segno di deterrenza, una prova di forza nei confronti della comunità internazionale: un messaggio anche all’elettorato più conservatore che ha letto una sorta di mollezza nell’accettazione dei termini proposti dall’accordo di revisione del programma nucleare proposto dai negoziatori del “5+1” (Russia, Cina, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, più la Germania).
Il test, sarà una casualità magari, è avvenuto poche ore prima che in Parlamento si approvasse un disegno di legge che recepiva in via generale il testo dell’accordo nucleare chiuso a Vienna. L’assemblea è stata trasmessa dalla tv di Stato, ma utilizzando immagini e audio di repertorio, e i dettagli della legge non sono stati resi pubblici: si sa solo che c’è l’opzione per uscire dal patto se non verranno sollevate le sanzioni, partendo da quelle che bloccano i capitali iraniani e che dovrebbero essere tolte già entro la fine dell’anno.
Per capire che aria tira in Iran a proposito delle limitazioni accettate sul nuke, basta prendere le parole del capo dell’Agenzia nucleare nazionale, Ali Akbar Salehi, che ha partecipato alla stesura del deal viennese. Salehi ha dichiarato che quando si è recato in parlamento a spiegare i termini raggiunti, un rappresentate dell’ala più conservatrice lo ha minacciato di morte e di «seppellire il corpo nel cemento del reattore ad acqua pesante di Arak». Arak è un sito nucleare tra i più sospetti, e dopo l’accordo verrà trasformato in un reattore ad “acqua leggera”, relativamente meno pericoloso.