Sabato due bombe hanno colpito a pochi secondi di distanza un corteo di attivisti filo-curdi e gruppi civici ad Ankara: le colpe per questo che è il peggior attentato della storia in Turchia, sono ricadute subito sullo Stato islamico.
I “TESSITORI”
A distanza di tre giorni, le ipotesi preliminari sembrano prendere più consistenza, per cinque ragioni.
1) Le bombe: un funzionario della polizia ha rivelato alla Reuters che le esplosioni di Ankara sono del tutto simili a quella di Suruc, dove si pensa che sia stato l’IS a colpire un raduno di giovani curdi; probabile che ad innescare i dieci chili di tritolo “arricchito” da biglie di ferro, non sia stato un detonatore ma una bomba a mano.
2) Gli attentatori: testimoni raccontano di aver visto due uomini, anche se qualcuno dice un uomo e una donna, con zaini e un trolley, che potrebbero essere stati i kamikaze (l’uso di attentatori suicidi è comune nello Stato islamico, ma va detto che lo è anche per altri gruppi come il Pkk e il Dhkp-c, che però è molto difficile siano stati gli autori dell’attacco).
3) Ci sono degli affiliati all’IS in Turchia, che non si trovano: almeno 16 persone che secondo l’intell potrebbero compiere azioni suicide sul suolo turco, sono introvabili. Le autorità, che ne conoscono l’identità, hanno raggiunto le famiglie per prelevare campioni del DNA e associarli ai resti di dodici “corpi sospetti” recuperati dalla scena dell’esplosione (tutti turchi, come riconoscibile dai segni delle vaccinazioni). Il sospettato principale è Yunus Emre Alagöz, fratello di Abdurrahman, l’autore dell’attacco a Suruc.
4) Il gruppo Dokumacilar (“I tessitori”): il gruppo di Adiyaman è il principale indiziato, perché è quello a cui appartengono i due fratelli Alagöz e ha come mira i curdi dell’YPG, alleati dei turchi, per rappresaglia alle sconfitte subite sul campo di battaglia siriano. Adiyaman è una città del sud est turco, in cui l’IS ha attecchito in profondità nel tessuto sociale e ha creato ampio proselitismo.
5) Gli ordini da Raqqa: secondo quanto riportato dal quotidiano turco Milliyet, la polizia avrebbe intercettato in agosto dei messaggi inviati direttamente dalla capitale siriana del Califfato: si ordinavano attacchi dinamitardi contro quattro città turche (non definite) e azioni contro i capi delle forze di sicurezza.
LA COSPIRAZIONE
Tuttavia, ancora non c’è una rivendicazione e nonostante le prove sulla possibilità dell’azione dell’IS si fanno sempre più consistenti e il premier Ahmet Davutoglu ha ormai indicato l’organizzazione come completo responsabile, non scendono i sospetti su una qualche responsabilità del governo. La Turchia, il baluardo occidentale all’instabilità mediorientale trema, la società è sempre più spaccata e la tensione dilaga nel Paese. Il livello di sfiducia nelle autorità statali, è talmente alto che la responsabilità dell’IS è messa in dubbio da molti. Anche ieri ci sono state numerose manifestazioni di protesta sia a Istanbul, durante i funerali di alcune vittime, sia ad Ankara. Il grido “assassino” si è sentito di nuovo, diretto dai manifestanti al presidente Recep Tayyp Erdogan. Le accuse, oltre di tenere uno stile sempre più autoritario e polarizzante, ora sono più grosse: si diffondono le teorie cospirazioniste sulla possibilità dell’azione di uno “stato profondo” (servizi deviati, organizzazioni criminali e paramilitari, mossi su ordine di Erdogan per creare una strategia della tensione). D’altronde, il muro creato dal governo, che ha bloccato internet e diffuso pochissime informazione ai media, favorisce il proliferare di certe situazioni.
L’OPINIONE
Intervistato da Hurriyet il premio Nobel turco Orhan Pamuk ha accusato Erdogan accedendo alle non dimostrabili tematiche della cosiddetta “strategia della tensione”. «Lui non è riuscito a prendere il voto dei curdi», ha detto riferendosi alle elezioni di giugno, quelle in cui l’Hdp ottenne un grosso consenso elettorale, che ha bloccato il progetto di modifica della costituzione verso il presidenzialismo, perché Akp (il partito del presidente) non ha raggiunto la maggioranza assoluta in parlamento per la prima volta dopo anni. Da lì, poi, improvvisamente, un paese pacifico s’è trovato a combattere sia l’IS che i curdi, ha spiegato Pamuk, e questo ha creato disorientamento nella popolazione: molti credono che in realtà questa operazione antiterrorismo lanciata dal governo, sia un proxy per colpire il Pkk e soprattutto destabilizzare l’elettorato curdo, una minoranza etnica composta da circa 15 milioni di persone, per evitare il ripetersi del successo elettorale di giugno.
EFFETTO BOOMERANG
Il Guardian scrive però che questa “strategia” (che si ripete, è una ricostruzione finanche credibile, ma per il momento non è basata su prove fattuali) aumenterà la sfiducia del governo alle prossime elezioni, perché la popolazione teme di ritrovarsi sull’orlo di un conflitto settario, e fa accesso alla memoria storica e alle vicende che non troppi anni fa hanno squarciato il Paese.