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Afghanistan, tutte le ragioni del proseguimento della missione

Oggi è in programma il Consiglio supremo di Difesa, convocato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. All’ordine del giorno c’è la minaccia terroristica jihadista in varie aree del mondo, tra cui la Libia e le zone in cui le nostre Forze armate sono impegnate in missioni internazionali (in questo articolo di Formiche.net, c’è una panoramica della situazione italiana e delle esitazioni di Roma su vari fronti). Un tema sarà anche la permanenza dei soldati italiani in Afghanistan, ma forse potrebbe finire subordinata (visto che non implica l’apertura di un nuovo fronte di combattimento) alla necessità di decidere sul come impiegare i nostri Tornado in Iraq contro l’Isis.

L’ITALIA RESTERÀ IN AFGHANISTAN?

I talebani afghani sono tornati a offendere in varie zone. Alcuni report di Tolo News (da prendere con cautela, secondo alcuni analisti) dicono anche nell’area di Shindand, a poche decine di chilometri a sud di Herat, dove si trova il contingente italiano. A giugno il premer Matteo Renzi andò a salutare quei militari e chiese ai soldati di tener duro ancora per “qualche mese”, prima del ritiro. Ora i fatti stanno apportando modifiche alla linea del governo italiano, che ha un nodo più politico che pratico da sciogliere: Washington ha chiesto di prolungare di un anno almeno la missione (prima per intero, poi ha proposto un ridimensionamento). Cosa risponderà Roma?

È del tutto legittimo, spiegano gli esperti, pensare che l’Italia darà l’ok al mantenimento del proprio contingente di 760 uomini. Come ha scritto Mario Arpino su questa testata, “l’Italia non può dire sempre no agli americani», e il riferimento va alla decisione di non colpire l’Isis, ma di continuare, per il momento, con voli di sorveglianza, ma anche a  dossier come il Muos. Lunedì il generale Philip Breedlove, comandante supremo della Nato in Europa, ha detto in esclusiva alla Reuters che Germania, Turchia e Italia manterranno il loro impegno in Afghanistan ai livelli attuali, al fianco degli Stati Uniti. La comunicazione sarebbe già arrivata ai vertici dell’Alleanza in via informale, ha aggiunto un altro alto ufficiale, mentre la decisione ufficiale potrebbe arrivare al prossimo vertice in programma i primi di dicembre. La Nato, a differenza degli Usa e di altri governi, non ha mai indicato una data di conclusione per la missione “Resolute Support” afghana.

LA NUOVA OFFENSIVA TALEBANA

I talebani in Afghanistan hanno conquistato ultimamente un altro distretto del Paese, Ghormach, un’area che confina con il Turkmenistan che sembra essere caduta sotto il controllo dei ribelli jihadisti, stando alle dichiarazioni del gruppo e della stampa locale.

L’organo di propaganda talebana, che si occupa delle dichiarazioni stampa, Voice of Jihad, ha fatto sapere in un comunicato che adesso il gruppo controlla Ghormach dopo sei giorni di battaglia. Media locali hanno corroborato la notizia, rivelando che le forze afghane presenti nell’area sono fuggite in una vicina base militare (che però pare essere circondata dagli insorti).

Altre offensive si registrano nelle aree meridionali di Helmand. Secondo le ricostruzioni di Bill Roggio, analista del think tank Foundation for Defence of Democracy, che ha pubblicato una mappa in collaborazione con il New York Times, ora i talebani avrebbero il controllo di 36 distretti provinciali afghani, mentre altri 35 sarebbero contestati.

Il gruppo ribelle guidato dall’ex leader supremo Mullah Omar, vive una fase di transizione e diatribe interne. I vertici dell’organizzazione sono cambiati e questo ha destabilizzato. Le nuove offensive, possono essere lette, secondo altri osservatori, anche come un tentativo di consolidare il potere dell’attuale leadership di Mullah Akhtar Mansour. Il potere politico è reduce da combattute elezioni, che hanno lasciato il Paese diviso in sistemi politici urbani, che si basano molto su alleanze etniche e tribali. E le forze di sicurezza, nonostante gli investimenti degli Usa e dei loro alleati, sono ancora molto deboli. È stato pubblicato un libro dell’accademico e analista americano Vali Nasr, che racconta un retroscena: quando gli americani annunciarono al generale Kayani, capo dell’esercito pakistano, il loro piano per formare 400 mila uomini per le Forze armate afghane entro il 2014, Kayani, dopo aver ascoltato tutto il resoconto, diede una risposta inequivocabile: “Fallirete”. Quelli che non passeranno direttamente con i talebani, scapperanno anziché combattere, disse il generale.

A distanza di anni, la situazione prevista da Kayani non è poi troppo lontana dalla realtà, ed è proprio l’impreparazione delle forze di sicurezza afghane (fatta eccezione di poche unità d’élite) ad aver convinto, ufficialmente il presidente americano Barack Obama a mantenere un contingente anche oltre il suo mandato, non mantenendo una delle più importanti promesse elettorali, il ritiro. Per fermare la diffusione del panico nelle città minacciate dai talebani, Kabul sta cercando di arruolare migliaia di nuovi agenti di polizia: il New York Times ha scritto che questa è “un’ammissione di debolezza delle forze locali”.

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