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Irak, tutti i dettagli sul raid per liberare gli ostaggi dell’Isis

Le forze speciali americane hanno condotto un blitz sul suolo iracheno che ha portato alla liberazione di 69 ostaggi in mano allo Stato islamico. L’operazione è avvenuta giovedì mattina all’alba, in una zona a sudest di Kirkuk vicina alla cittadina di Hawija, nel nord dell’Irak.

LA VICENDA

Nella zona, nota come Fadikha, l’Isis aveva recluso uomini delle forze di sicurezza irachena, miliziani curdi e alcuni membri delle milizie sunnite che fanno parte del “risveglio” contro il sedicente Califfato. Secondo le dichiarazioni del portavoce del Pentagono Peter Cook, sarebbe stato il governo regionale del Kurdistan iracheno a richiedere il blitz, perché aveva ottenuto informazioni in merito alla possibilità che nella prigione si sarebbe consumata un’esecuzione di massa da lì a poche ore.

È stata la Delta Force americana a compiere il raid, probabilmente partita da Erbil, la capitale del Kurdistan, dove è rientrata dopo la missione. A guidarlo i trenta uomini del commando il Jsoc (Joint special operation command): con loro hanno preso parte all’operazione anche alcuni gruppi scelti dei Peshmerga (probabile si sia trattato del Ctg, il Gruppo Contro-terrorismo curdo con sede a Sulaymaniyah).

Il blitz ha permesso il recupero di tutti gli ostaggi presenti nel sito, e durante lo scontro a fuoco sono rimasti uccisi dieci soldati dell’Isis e un americano. Non sono stati forniti troppi dettagli, perché la missione è protetta da segreto militare, tuttavia si sa che le forze speciali sono state protette dall’alto dai caccia americani che hanno tagliato le vie di collegamento al carcere impedendo l’arrivo di rinforzi ai baghdadisti. Dev’essersi trattato di un’operazione complessa: recuperare settanta ostaggi significa spostare tanta gente, dunque servono tempo e ampi spazi protetti. Su questo si suppone che i curdi abbiano coperto il perimetro, mentre la Delta entrava in azione all’interno degli edifici. Le unità speciali sono arrivate dal cielo, probabilmente trasportate dalla 160° Elicotteri, i Night Stalker dello Special Operations Aviation Regiment, unità di trasporto preferenziale del Jsoc. Gli ostaggi liberati sono stati caricati a bordo dei velivoli (forse elicotteri Chinook) e trasportati nella capitale del Kurdistan: con loro ci sarebbero anche 5 uomini dell’Isis presi come prigionieri.

I RISVOLTI

Questa azione si distingue per tre aspetti. Si è trattato a tutti gli effetti di un’azione di terra, dunque una di quelle continuamente scongiurate dal presidente Barack Obama, che ha sempre ripetuto che la missione per combattere lo Stato islamico non prevede l’impiego di boots on the ground. Su questo, Cook ha riposto ai giornalisti che l’America non può tirarsi indietro se ci sono situazioni in cui molte persone sono in pericolo di vita (in questo caso l’imminente esecuzione di massa).

In secondo luogo, l’uccisione di un operatore americano: si tratta del primo caduto dal 2011, circostanza che complica la posizione della Casa Bianca. Il ritiro dall’Irak è stato rispettato come da promesse elettorali, quello dall’Afghanistan no, per necessità di sicurezza: ora non solo i soldati di Washington tornano a combattere sul suolo iracheno, ma tornano anche a morire. Questione di sicuro peso tra l’opinione pubblica.

Terzo, la decisione di compiere l’azione insieme ai curdi e non con gli iracheni. In linea teorica, entrambe le formazioni sono alleate americane, ma Baghdad dovrebbe vantare un peso “più ufficiale”. Tuttavia Washington ha deciso di appoggiarsi ai Peshmerga, probabilmente per due ragioni: i curdi sono più capaci in battaglia rispetto al disorganizzato esercito iracheno; e poi perché Baghdad ha virato verso una “joint venture” con la Russia. Sono solo ipotesi degli analisti, ma forse il governo iracheno non è stato avvisato prima del blitz, anche per evitare che le informazioni finissero condivise con la Russia.

I PRECEDENTI

Quella di giovedì non è l’unica operazione del genere dall’inizio della missione anti Isis. Cook ha già assicurato che non si tratta di un cambio di strategia, ricordando che, se ci sarà necessità immediata, gli americani potranno compiere altri blitz, ma non diventeranno una routine. L’ultimo, a giugno, nei pressi di Deir Ezzor in Siria, portò all’uccisione dell’emiro del petrolio dell’Isis, il tunisino Abu Sayyaf. Un altro andò invece male, condotto qualche mese prima a Raqqa. Doveva portare alla liberazione di alcuni ostaggi occidentali, ma le forze speciali arrivarono tardi, quando i prigionieri erano già stati sposati. Tra loro c’era anche James Foley, il primo decapitato mostrato dall’Isis in un video.

LA VERSIONE DELL’IS

Lo Stato islamico ha diffuso uno statement sul blitz americano. I baghdadisti affermano, con il solito linguaggio (“i crociati”, “Allah ha dimostrato la loro codardia”, “il martirio dei fratelli”), che durante l’attacco sarebbero stati uccisi molti prigionieri e alcuni poi sarebbero morti sotto le bombe che hanno distrutto la prigione. Ma per gli esperti questi comunicati hanno il solo scopo di propaganda.

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