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Energia e clima, che fare a Parigi? L’analisi del prof. Clò

In vista della prossima Conferenza di Parigi, il Prof. Alberto Clô (direttore rivista Energia) riflette nell’ultimo numero di Energia sul tema della lotta ai cambiamenti climatici, ponendo interrogativi e spunti di riflessione sulla transizione energetica verso nuovi modelli low carbon. Il punto dirimente, al di là della sua fattibilità, è sé il concentrare immani risorse verso tale priorità sia compatibile con l’altra non meno prioritaria esigenza del nostro tempo: soddisfare la fame di energia nel mondo.

La lotta ai cambiamenti climatici è oggetto di ampio dibattito, “soprattutto nell’opinione pubblica allarmata dalle sempre più frequenti calamità naturali”. La Conferenza di Parigi attesa a dicembre è pertanto carica di aspettative; generale è il convincimento che “sia urgente por mano ad aggressive politiche capaci, si sostiene, di rivoluzionare i sistemi energetici mondiali in due direzioni”. Da una parte, si richiede di “riorientare la struttura dell’offerta per fonti e modelli di produzione”, dall’altra di “contenere la crescita della domanda di energia con un miglioramento della sua efficienza d’uso”. Tutto ciò nella consapevolezza che i “costi indiretti del non agire sarebbero superiori in termini di ricchezza perduta a quelli diretti di politiche climatiche preventive”. Tuttavia, “le cose non sono per nulla facili” ma sussistono una serie di rilevanti interrogativi “cui il dibattito ha prestato scarsa attenzione” e che occorre analizzare “non per respingere la necessità dell’auspicata rivoluzione” ma “per aver contezza di cosa realmente significhi”.

Evitare il mismatch tra rischi climatici e rischi d’offerta

“Nell’energia più che altrove history matters”, Guardare al passato implica anche riconoscere “il significato che l’energia ha assunto nel vivere moderno e la necessità di garantirne la piena disponibilità”, escludendo la prospettiva contraria “se non si voglia regredire sulla via del progresso”. Semmai, l’imperativo fondamentale è quello di ridurre le disuguaglianze che attraversano il mondo moderno tra “chi, nei paesi ricchi, ne dispone sino ad abusarne, e chi, in quelli poveri, ne è privo”. Ecco quindi l’altro grande interrogativo: “Se la lotta ai cambiamenti climatici sia compatibile – dato il vincolo di limitate risorse – con la non meno prioritaria e urgente lotta alla povertà energetica”. Per molti, la necessità di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili, in risposta alla loro finitezza e agli impatti sull’ambiente, dovrebbe portare ad una «transizione energetica» verso nuovi modelli low-carbon. Attualmente, “le misure messe in campo non sono valse a modificare nella sostanza i termini della questione climatica”; altro sarebbe “qualora la platea di paesi che vi aderissero dovesse allargarsi alla prossima Conferenza di Parigi a quelli maggiormente responsabili delle emissioni clima-alteranti”. Certo è che “operare per un futuro ambientalmente sostenibile non libera allo stesso modo dall’esigenza di soddisfare la fame di energia”. Per farlo, occorre conseguire tali obiettivi congiuntamente, “evitando il mismatch tra rischi climatici e rischi d’offerta”.

La storia insegna: tra path dependence e forza della tecnologia

Analizzare le dinamiche storiche che hanno forgiato gli attuali sistemi energetici è più che mai utile per comprendere “se e in quale misura il futuro dell’energia possa, solo volendolo, essere ridisegnato in modo radicale” o se, invece, “non sia in larga parte predeterminato dalla path dependence indotta dalle rigidità che vincolano lo stock di capitale e dall’organizzazione socio-economica che guida abitudini e comportamenti individuali”. Guardando al succedersi delle fonti impiegate nel tempo, si evidenzia la forte “correlazione tra progresso ed energia”. Sono proprio le “straordinarie innovazioni tecnico-scientifiche a cavallo tra Ottocento e Novecento” a guidare “i processi storici di sostituzione delle fonti”, portando in ogni fase al dominio di una sulle altre. Le fonti fossili hanno permesso di superare una serie di rigidità localizzative e discontinuità produttive; sebbene sia innegabile la loro finitezza, “lo è altrettanto il fatto che il loro stock di riserve provate è andato nel tempo crescendo” grazie alle prospettive dischiuse dallo sfruttamento di risorse non convenzionali. Come mostrano i cicli storici di sostituzione delle fonti, “la penetrazione di una nuova fonte richiede un tempo nell’ordine di mezzo secolo per raggiungere una quota grosso modo di un quinto dei complessivi consumi.” Nonostante “la prospettiva di dover dipendere ancora per decenni dall’impiego delle fonti fossili”, resta la “necessità di operare sin d’ora per costruire il «dopo fossili»”. È su questo che “si misura la capacità della politica di dar seguito al proprio impegno nella lotta ai cambiamenti climatici”; serve in particolare “uno straordinario impegno di R&S in grado imbrigliare in modo economicamente sostenibile nuove fonti inesauribili”. Ieri come oggi, si fa appello alla tecnologia che “nelle sue imprevedibili traiettorie” ha la possibilità di “salvare il mondo dai catastrofismi”.


Leggi la versione integrale dell’articolo pubblicato nel numero 3.2015 della rivista Energia nell’ambito di un pacchetto di analisi dedicate alle risorse per nutrire il Pianeta e che comprende i contributi di Romano Prodi, Antonio Massarutto, G.B. Zorzoli, Paolo De Castro. Per una maggiore completezza dei contenuti e accuratezza dei dati si rimanda alla versione originale; ogni eventuale discrepanza è da attribuirsi alla Redazione della Rivista Energia.


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