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Le ultime resistenze di Marino contro Renzi e Vaticano

Nel bene, per fortuna, ma anche nel male, purtroppo, qui resistono tutti, ma proprio tutti e dappertutto: da Papa Francesco, felicemente sopravvissuto ai veleni di chi voleva guastargli il Sinodo, a Ignazio Marino, che ha promesso ai fedelissimi raccoltisi nella piazza michelangiolesca del Campidoglio che “non deluderà” la loro attesa di ritirare le dimissioni da sindaco e sfidare il suo sfinito partito a sfiduciarlo nel Consiglio Comunale, o ad espellerlo. E’ una nuova versione, a sinistra, della famosa sfida di Gianfranco Fini a Silvio Berlusconi nel 2010: “Che fai? Mi cacci?”. E fu cacciato, prima dal Pdl e poi dal Parlamento, dove tentò inutilmente di tornare nel 2013 sotto la protezione di Mario Monti.

Resistono dal guardasigilli Andrea Orlando, che ha finto di non accorgersi, e magari apprezzerà anche la sovrapposizione della collega Maria Elena Boschi, mandata dopo di lui da Matteo Renzi a rappresentare il governo al polemico congresso del sindacato delle toghe, a Rodolfo Sabelli, il presidente dell’associazione dei magistrati che ha incassato come se riguardasse solo altri il monito pur sorridente della ministra a servire lo Stato “con disciplina e onore”. Altro che “lisciare le toghe”, come il Fatto Quotidiano ha attribuito alla Boschi scambiando lucciole per lanterne.

L’obbligo della disciplina e dell’onore per chi svolge funzioni pubbliche è nell’articolo 54 della Costituzione, che tante volte è stato rinfacciato a Silvio Berlusconi, prim’ancora di farlo decadere da senatore, due anni fa, ma che è francamente difficile riconoscere, almeno quanto alla disciplina, nella condotta di chi si impanca ad accusatore inflessibile accusando il governo di occuparsi più della riservatezza delle intercettazioni che della lotta alla mafia: il governo, e non il primo giornalista a portata di mano, o manette, perché è il governo, appunto, che ha voluto assumere, con il consenso del Parlamento, la delega di intervenire contro l’uso sinora troppo disinvolto delle intercettazioni, anche quando riguardano persone e fatti estranei alle indagini.

Non si può certo rimproverare alla Boschi di avere avvertito il dovere di questo richiamo più, o diversamente dal suo collega della Giustizia, corso al congresso il giorno prima più come pompiere che come ministro.

L’elenco dei resistenti si chiude con i 400 dirigenti dell’Agenzia delle Entrate degradati per la illegittimità delle loro promozioni e insorti con i soliti ricorsi contro la presidenza del Consiglio.

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Oltre a scampare ai veleni sparsi attorno al Sinodo sulla famiglia, su cui aveva scommesso la sua autorità, Papa Francesco si è tolta la soddisfazione di opporre la sua buona salute, pur con tutti i limiti dell’età e dei postumi di un’operazione polmonare in gioventù, ai gufi, gufacci e gufini allertati da un presunto scoop giornalistico su un tumore, sia pure benigno, al cervello.

A proposito di questo scoop, va detto, almeno per quanto mi riguarda, che ancor più convincenti delle ripetute smentite del portavoce del Vaticano e del medico giapponese chiamato in causa, mi sono apparsi i ricordi di Eugenio Scalfari. Che ha colto l’occasione per precisare circostanze e origini di un suo recente intervento domenicale su Repubblica in cui, lodando le prestazioni del Pontefice nell’impegnativo viaggio a Cuba e negli Stati Uniti d’America, si dolse dell’ormai  “poco tempo a disposizione” di Francesco.

La nota frequenza degli incontri e delle telefonate di Scalfari col Papa indusse più di un lettore, me compreso, a pensare a chissà quale segreto egli custodisse. Un sospetto che temo abbia avuto un peso anche nello scoop del tumore che ha recentemente invaso le prime pagine di tutti i giornali del mondo.

Ebbene, Scalfari ha ricordato le circostanze anche pubbliche nelle quali lo stesso Papa aveva parlato, “alcuni mesi” prima del suo viaggio americano, del timore di non avere a disposizione tutto il tempo necessario alla missione propostasi di realizzare le aperture del Concilio voluto da Giovanni XXIII. Un timore più scaramantico che reale, essendo tutto affidato nelle mani di Dio: quel Dio “unico” e continuamente creatore, non statico e rassegnato, che comincia a intrigare anche il volteriano Scalfari. Che alla fine riuscirò forse a vedere anche in Chiesa, e non solo per i funerali degli amici.

Mi capitava spesso di accompagnare a Roma il pur agnostico Indro Montanelli a Santa Maria del Popolo, insieme con il comune amico Mario Castiello. Vi andava – diceva – per fare contenta mamma Maddalena, religiosissima, a casa della quale si recava la domenica a pranzo, rigorosamente a piedi, con la benedizione appena ricevuta dal prete alla fine della messa. Scalfari non ha una mamma da compiacere, ma una ostinata e lodevole ricerca di emozioni, oltre che di ragionamenti, assecondata personalmente dal Papa.

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Alla messa ha dovuto rinunciare in queste domeniche autunnali il sindaco dimissionario di Roma, troppo preso dagli incontri festivi col pubblico smanioso di vederlo vincente nel braccio di ferro col Pd di Renzi. Ma non si sa, francamente, se la sfida di Marino mette in imbarazzo più Palazzo Chigi, dove non si fa certamente mistero della voglia di chiudere la partita col ricorso a uno o più commissari, o il Vaticano, dove le dimissioni del sindaco furono avvertite come l’occasione buona – scrisse l’Osservatore Romano – per rimuovere “le macerie” di Roma. Che rischiano, fra l’altro, di ingombrare il Giubileo della Misericordia voluto dal Papa, possibilmente senza imbucati, non bastando “professarsi cattolico”, ma dovendo esserlo davvero, convintamente e fedelmente.

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