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Evasione fiscale: numeri, retorica e ipocrisie

Perché c’è tanto fracasso attorno all’Agenzia delle Entrate? La risposta che viene subito in mente è perché viene toccato un altro tabù: la lotta all’evasione che ha sempre alimentato la retorica delle opposizioni di destra e di sinistra, dei governi di destra, di sinistra e di centro, dei sindacati e degli industriali, senza dimenticare gli evasori stessi. La lotta all’evasione, dicono i soliti gufi (anzi, corvi in questo caso) non porta voti per questo Matteo Renzi ha alzato il limite del contante a tremila euro e vuole ridimensionare gli strumenti che la combattono. Ma, a parte i voti, la lotta all’evasione porta davvero quattrini nelle casse dello Stato? Quanti e quanto si spende per recuperarli?

E’ un argomento mercantile, economico, vile. Ma vero. L’evasione fiscale è moralmente riprovevole, viene condannata dall’etica kantiana e dalla morale cristiana perché fa agli altri quel che non vorrebbe fosse fatto a se stessi. L’economia, però, spesso non va d’accordo con l’etica. Altrimenti saremmo migliori, anche se un po’ più poveri.

Dunque, togliendoci la giacca a code di Kant e indossando la zimarra di Machiavelli, vediamo di fare qualche conto. Il Corriere della Sera che si schiera senza se e senza ma contro chi attacca Rossella Orlandi, scrive che l’obiettivo per quest’anno è recuperare 14 miliardi di euro tanto quanto lo scorso anno. Per far questo vengono impiegate 40 mila persone nelle agenzie fiscali, poi bisogna aggiungere 68 mila poliziotti della Guardia di Finanza, senza dimenticare i magistrati e tutti coloro che in un modo o nell’altro partecipano alle operazioni. Dunque, si tratta di alcuni miliardi di euro l’anno (tra 4 e 5 miliardi solo per il costo del personale) con l’obiettivo di attaccare il bersaglio grosso. A quanto ammonta, però, nessuno lo sa.

Il sito di Beppe Grillo che di queste cose se ne intende grida che si tratta, udite udite, di 180 miliardi l’anno. Se così fosse, a fronte di un pil pari a 1.600 miliardi, saremmo in linea con la Germania. Dunque deve essere molto di più, visto che autorevoli stime internazionali parlano di una quota pari almeno a un quarto del prodotto lordo, dunque circa 400  miliardi. Una bella cifra. Se entrasse tutta nelle casse dello Stato non basterebbe per coprire il debito pubblico che supera come sappiamo i duemila miliardi (dunque la retorica secondo la quale per disfarci dei nostri debiti basta far pagare gli evasori è anch’essa vuota propaganda). Ma certo potrebbe portare in attivo il bilancio e, per questa via contribuire a ridimensionare, anno dopo anno, la montagna del debito.

Secondo i seguaci di Milton Friedman (il quale sosteneva che l’evasore, in uno Stato inefficiente e corrotto, fa del bene alla nazione) quei 400 miliardi andrebbero a riempire le casse dell’erario, ma a svuotare in parte le tasche dei consumatori, dando così un colpo al prodotto lordo. Di quanto nessuno lo sa, perché stiamo parlando di ipotesi più o meno fondate. Anche in questo caso l’economia e l’etica non vanno d’accordo, ma ciò non toglie che sia un dato di fatto.

Grandi sforzi, immense polemiche, montagne di carte, un peso opprimente per i contribuenti onesti (i ministeri costano in media un miliardo di euro al giorno, quello dell’Economia e finanze, il mitico Mef, 80 miliardi l’anno) e non si può certo dire che si sia avviata una svolta. L’evasione fiscale non si riduce, viene intaccata con grandi sforzi e costi elevati, ma è come la lucertola: la coda tagliata si riforma non men che non si dica.

Qual è la conclusione, allora, lasciamo perdere? Certo che no; ogni Stato da quando è nato attribuendosi il monopolio dell’uso della forza e della riscossione dei tributi, ha condotto la sua quotidiana lotta all’evasione. Ma bisogna smettere di farne l’alfa e l’omega della politica fiscale, del risanamento delle finanze pubbliche, della riduzione del debito, dell’aumento del pil e chi più ne ha più ne metta. Perché non sfidare fino in fondo il tabù e chiedersi se non è meglio compiere una rivoluzione copernicana, concentrando gli sforzi su politiche che incentivano il pagamento delle imposte, per esempio attraverso un sistema di deduzioni che potrebbe penalizzare chi non applica l’Iva.

Di ipotesi e proposte siamo pieni, l’Italia è la patria della moderna scienza delle finanze, non lo dimentichiamo mai. Basta liberarsi dai legacci della retorica e dell’ipocrisia.

Stefano Cingolani



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