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Perché Obama manda forze speciali in Siria

Funzionari della Difesa degli Stati Uniti hanno rivelato ai media che un team di forze speciali americane («meno di cinquanta» unità) sarà schierato in Siria come advisor militari al fianco di alcuni gruppi “amici” che combattono il Califfato.

Si tratta di uno «shift», una variazione, non di un «change» sulla strategia americana ha specificato ad NBC un alto funzionario del Pentagono. Cioè la decisione non apre la strada ad un impiego più ampio di truppe di terra; chiarimento se ce ne fosse stato bisogno: Barack Obama resta sempre scettico sull’impiego di boots on the ground. E infatti la notizia è stata diffusa con la prassi della “non-ufficialità”: funzionari che parlano anonimamente con i vari media, conferma da parte dei portavoce, assenza di un comunicato del presidente, tutto per sottolineare che non è un “cambio” di strategia. Anche se, implicitamente la decisione significa aggiungere altre unità alle già 3500 disposte in Iraq, e tradire un po’ di disagio davanti ad una strategia che non sembra funzionare, commentano alcuni osservatori. Inoltre, i primi “stivali” in Siria vanno a prendere parte ad una guerra che, come ripete costantemente la Casa Bianca, «non ha soluzione militare».

SUPPORTO VERSO RAQQA

La presenza delle forze speciali americane potrebbe essersi resa necessaria per istruire e fornire consulenza sul posto alla coalizione che dovrà dirigersi verso Raqqa (anche se niente in merito è stato ufficializzato). Si parla del raggruppamento di ribelli “amici” degli Stati Uniti e dei Paesi del Golfo noto come Syrian Democratic Force, composto dai curdi del YPG e da alcune fazioni arabe sotto l’ombrello del Free Syrian Army, in una delicata convivenza (sono gli stessi che qualche settimana fa hanno ricevuto armamenti dagli americani).

Interessante sarà capire nei prossimi giorni se l’area a sud di Kobane verrà designata dal Pentagono come safe-zone di protezione per i propri soldati, cosa che inizierebbe ad allineare Washington alle incessanti richieste turche. Cinquanta forze speciali sono un numero limitato, ma tuttavia necessitano di appoggio aereo, protezione, rifornimento, sicuri. Da notare che quei curdi che dovrebbero essere affiancati dagli operatori americani, pochi giorni fa sono stati bombardati dai caccia di Ankara, che li considerano terroristi alla stregua di Isis e Pkk.

COSA FARANNO LE SPECIAL OPERATIONS FORCE

Non è stato ancora comunicato di quale gruppo di operatori delle Sof si tratterà: è noto che il 5th Special Forces Group dell’esercito ha avuto un ruolo nel defunto programma di addestramento dei ribelli siriani chiuso da poco dal Pentagono per manifesti insuccessi, e dunque potrebbero essere loro anche stavolta. I compiti ufficialmente sono “addestrare, consigliare e assistere” le forze anti-IS, ma probabile che tra questi ci sarà anche fornire comunicazioni sicure con i centri operativi e il Jtacs, ossia il controllo da terra dei raid aerei. Quest’ultimo aspetto è di primo piano, perché sebbene sembra che i ribelli abbiano avuto qualche coordinamento con i caccia americani, l’attività di targeting da terra fornito da preparati professionisti renderebbe i raid sostanzialmente più efficaci. Funzionari americani hanno ammesso al Wall Street Journal che non è esclusa la possibilità che i militari in Siria si trovino coinvolti in uno scontro a fuoco (il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest ha invece negato la possibilità che entrino in modalità “combat”).

Contemporaneamente è stato anche annunciato l’arrivo ad Incirlik, base aerea che Ankara ha recentemente aperto all’uso americano in chiave anti-IS, di uno squadrone di A-10, caccia anticarro utilizzati per l’appoggio ravvicinato alle forze di terra. In più altre 60 unità di forze speciali saranno mandate invece a Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove è già presente un nucleo della Delta Force (quello impegnato nel raid di qualche giorno fa a Hawija, vicino Kirkuk). A Erbil, scrive Bloomberg, lavora un centro di comando congiunto tra curdi e americani, in cui una speciale task force opera protetta dal segreto di Stato.

Nella strategia annunciata dall’amministrazione americana a inizio settimana (quella delle “3 R”), si prevedeva un leggero aumento del coinvolgimento: e così sembra.

MOVIMENTI DIPLOMATICI

L’annuncio di schierare le forze speciali in Siria è una decisione importante, perché si tratta della prima impronta ufficiale in merito alla presenza di soldati americani sul territorio siriano (probabilmente piccoli commandos sono già presenti, ma in modo clandestino: una volta ne fece cenno anche il generale che comanda CentCom). Arriva per altro il giorno successivo ad un monito lanciato dalla Russia: gli americani non potranno schierare uomini a terra in Siria senza il consenso del governo di Bashar el Assad, altrimenti si tratterà di una violazione illegale della sovranità siriana, ha detto Valentina Matviyenko, presidente della Camera alta di Mosca. L’invio delle Sof in Siria dunque potrebbe essere letto anche come un contro-messaggio alla Russia: Washington ha deciso di non lasciare del tutto il campo.

Delegazioni di Russia e Stati Uniti si sono sedute allo stesso tavolo negoziale a Vienna, dove si sta discutendo di una futura soluzione politica alla crisi siriana.

All’incontro viennese di venerdì, ha preso parte nello staff che ha accompagnato il segretario di Stato americano John Kerry anche il delegato della Casa Bianca per la lotta allo Stato islamico Brett McGurk. La cosa non è passata inosservata ai giornalisti presenti alla press briefing, ma il portavoce John Kirby ha schivato le domande in proposito. Quello che i reporter si chiedevano era: si sta parlando anche dell’argomento “lotta coordinata USA-Russia all’IS”? E soprattutto, “se n’è parlato in un’ottica futura post-Assad”? Secondo quanto scritto dal WSJ, il divario tra le posizioni russe e americane si sta assottigliando, dirigendosi verso una transizione di potere graduale.



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