Sabato 31 ottobre un Airbus A321 della compagnia russa Metrojet partito dall’aeroporto di Sharm el Sheikh, in Egitto, e diretto a San Pietroburgo (Russia) è precipitato 20 minuti dopo il decollo in un’area al centro della penisola del Sinai, a circa 100 chilometri a sud della città di Arish. Tutte le 224 persone a bordo sono morte: mancano ancora una sessantina di corpi e Reuters scrive che le ricerche sono state ampliate in un raggio di 15 km dal punto dello schianto. Si tratta di uno dei più grandi disastri aerei avvenuti quest’anno e del peggior incidente del genere che ha colpito la Russia, tanto che il ministro dei Trasporti russo Maxim Sokolov da ieri si trova nel luogo del disastro (sul luogo del disastro ci sono anche dei tecnici francesi inviati dalla Airbus).
Non c’è ancora chiarezza su quello che è accaduto, e ci sarà da aspettare la lettura dei dati delle scatole nere che secondo il ministro dell’Aviazione egiziano Mohamed Hossam Kemal sono state recuperate (e i tecnici sarebbero già al lavoro): poi serviranno le indagini sul campo, che il presidente Abdel Fattah al Sisi sostiene potrebbero durare mesi.
IL LUOGO DEL DISASTRO
L’area in cui il volo KGL9268 è precipitato è isolata e difficile da raggiungere per i soccorritori, ed è resa ancora più impervia dalla presenza delle milizia jihadiste appartenenti alla Provincia del Sinai dello Stato islamico (un gruppo prima noto come Ansar Bait al Maqdis, che dal novembre del 2014 ha compiuto il baya, il giuramento di fedeltà, al Califfo Abu Bakr al Baghdadi). Il gruppo è apertamente in lotta con lo stato centrale egiziano, ha compiuto diversi attacchi uscendo anche dalle aree di diretto controllo e arrivando fino al Cairo, mentre il governo ha avviato nella penisola una corposa operazione militare, che però non sta portando i risultati sperati. Le ricerche procedono con la “supervisione” di alcuni elicotteri Apache egiziani, che monitorano l’area per evitare che i gruppi combattenti si avvicinino al luogo del disastro. Domenica Air France, Lufthansa ed Emirates hanno comunicato che non percorreranno più le rotte del Sinai, indipendentemente da quello che è accaduto: si tratta di una misura di prevenzione.
LE IPOTESI SULL’ACCADUTO
La rivendicazione. Poche ore dopo la diffusione delle notizia dell’incidente aereo, i baghdisti egiziani hanno diffuso online una rivendicazione in cui sostenevano di essere loro i responsabili del disastro aereo: hanno dichiarato di averlo abbattuto. Secondo il rivendico, l’attentato sarebbe stato compiuto come operazione di ritorsione contro la Russia, che da circa un mese ha iniziato una campagna militare in Siria diretta contro lo Stato islamico e diversi altri gruppi ribelli, per sostenere il regime di Damasco: «A bordo c’erano più di 220 crociati russi. O russi e chiunque sia vostro alleato: sappiate che non sarete più sicuri né in terra musulmana né in aria, e che [in Siria] ci saranno decine di uccisioni ogni giorno. I bombardamenti del vostro esercito vi si ritorceranno contro», si legge nel documento diffuso dal gruppo terroristico egiziano.
Su questo messaggio di rivendicazione, gli analisti hanno subito espresso i propri dubbi: non ne è chiara l’autenticità, dicono in molti. È possibile infatti che lo Stato islamico abbia sfruttato l’occasione dell’incidente per “farsi pubblicità”: il gruppo di Baghdadi (come altre gruppi radicali) vive di proselitismo, e cerca ogni occasione per potersi fare propaganda. Secondo i funzionari americani si sarebbe trattato di un problema tecnico a far precipitare l’areo, come scrive il Wall Street Journal, tuttavia dice il giornale che in questo momento non si può escludere nessuna pista: compreso l’attentato. Lo Stato islamico, in effetti, non è solito rivendicare azioni di cui non è effettivamente responsabile: differentemente le Wilayat (le province) affiliate. Il New York Times fa notare che spesso queste realtà locali si intestano atti per puro fine propagandistico in modo da alimentare la narrativa attorno alle proprie gesta e assumere più importanza e rispetto all’interno dell’organizzazione.
Problemi tecnici e errore umano. Subito dopo l’incidente, sono cominciate a circolare diverse ricostruzioni diffuse dai media locali e alimentate da fonti governative egiziane. Le autorità del Sinai avevano detto in un comunicato che si trattava di un guasto tecnico, circostanza smentita da lì a poco dal primo ministro egiziano che ha dichiarato che durante non sono risultate registrazioni di irregolarità durante il volo. Un’altra delle ricostruzioni, faceva cenno ad una richiesta del pilota in merito ad un’atterraggio di emergenza: in questo caso è stato il ministro Kemal a smentire la richiesta di SOS. Inoltre sembrerebbe, secondo dichiarazioni ottenute da Associated Press, che l’areo prima del decollo avesse superato controlli di manutenzione e sicurezza all’aeroporto di Sharm. Tuttavia la moglie del pilota ha dichiarato ad ABC News che suo marito le avrebbe confessato di non essere troppo soddisfatto dello stato del velivolo prima di decollare (è noto che la compagnia avesse dei problemi economici).
Mashable ha pubblicato un articolo che cita un recente report redatto dalla International Air Transport Association, in cui si criticano le condizioni di sicurezza delle compagnie aeree russe, soprattutto quelle più piccole. L’agenzia aeronautica sostiene che «uno dei problemi più vistosi e ignorati è quello relativo alla certificazione da pilota e al suo addestramento». Dalla Russia hanno però escluso che si possa essere trattato di un errore umano, visto che chi guidava l’aereo aveva alle spalle 12 mila ore di volo.
Un missile lanciato da terra. Quasi tutti gli esperti concordano che l’aereo non è stato abbattuto attraverso un missile lanciato da terra. Non è successo cioè quello che è accaduto al volo MH17 in Ucraina. In quel caso il velivolo della Malaysia Airlines fu colpito da un “Buk” russo, un missile in grado di abbattere aerei ad alta quota. A gennaio, prima del giuramento di fedeltà al Califfo, Ansar Bait al Maqdis, aveva lanciato un razzo contro un elicottero dell’esercito egiziano, abbattendolo: ma è diverso colpire un grande aereo passeggeri in quota. Non è chiaro il tipo di armi di cui dispongono i baghdadisti egiziani, anche se sembra poco possibile che abbiano in mano mezzi balistici molto potenti; si sa comunque, che dallo svuotamento degli arsenali libici, alcuni gruppi combattenti nordafricani sono entrati in possesso di missili “Strela” e “Igla”, armamenti in grado sì di abbattere aerei di linea ma che hanno un raggio di azione che non supera i 4/5 mila metri. Mentre invece, secondo quanto dichiarato dalle autorità egiziane, il volo KGL9268 si trovava oltre i 9 mila metri di quota quando si sono interrotte le comunicazioni (pare quindi fuori portata): da lì, il velivolo è cominciato a scendere di 1800 metri al minuto, secondo quanto riportato dall’autorevole sito svedese Flightradar24, che si occupa di monitoraggio delle rotte aeree.
La bomba a bordo. Se, e si sottolinea se, dovesse essersi trattato di un gesto terroristico, è molto più probabile che ci possa essere stata la detonazione di una bomba a bordo. È una teoria sostenuta tra gli altri anche da Bill Roggio, esperto militare e curatore del sito Long War Journalism. Sarebbe comunque stata un’operazione complicata far passare le misure di sicurezza dell’aeroporto di Sharm el Sheikh (ultimamente incrementate) all’esplosivo, sia addosso ad un kamikaze sia in borsoni o altri oggetti. Tuttavia, le parole del capo dell’agenzia russa per l’aviazione civile, Alexander Neradko, non fanno che aumentare questo genere di sospetti: ha detto infatti che l’aereo si è spezzato in volo a un’alta altitudine, senza precisare però le possibili cause. Per molti esperti, il fatto che l’aereo si sia spezzato in due parti, abbinato alla velocità con cui è precipitato, può far pensare ad un evento repentino (come un’esplosione) e non ad un guasto meccanico. Reuters e BBC hanno scritto entrambe che dalle prime osservazioni sui rottami del velivolo si noterebbero i segni di parti annerite sulla fusoliere, con diverse sezioni metalliche contorte: circostanze che si allineano con la possibilità di un’esplosione.
LA PROBLEMATICA POSIZIONE RUSSA ED EGIZIANA
«La distruzione è accaduto in aria, e frammenti si sono sparsi su una vasta area di circa 20 chilometri quadrati» ha dichiarato domenica anche Viktor Sorochenko, direttore del Comitato intergovernativo dell’aviazione. Tuttavia, ha messo subito in guardia contro letture laterali di questa informazione. «È troppo presto per arrivare a conclusioni», ha detto alla televisione russa dal Cairo. Il riferimento va ovviamente all’atto terroristico.
Sia l’Egitto che la Russia si sono subito prodigati nello smentire, per quanto possibili, le rivendicazioni jihadiste e le ipotesi di azioni terroristiche. Tuttavia anche queste dichiarazioni vanno prese con il relativo dubbio, visto che arrivano da governi che spingono molto con la propaganda le proprie attività. Entrambi i Paesi sono infatti impegnati in importanti operazioni terroristiche, l’Egitto sul Sinai e la Russia in Siria. Sia Vladimir Putin che Sisi stanno cercando di utilizzare queste azioni di anti-terrorismo per ottenere una riqualificazione definitiva dalla Comunità internazionale e dall’opinione pubblica: Putin vuole scrollarsi di dosso il ruolo di “cattivo in Ucraina” e passare da paladino globale contro il terrore, Sisi vuole togliersi con le azioni contro l’Islam radicale l’etichetta di golpista. Se si dovesse trattare di un gesto terroristico, sarebbe sia per Mosca che per il Cairo un danno di immagine: un’implicita vittoria dei terroristi davanti ad uno sforzo militare tanto pubblicizzato e politicizzato. (Questo al netto dell’eventualità di un campagna di Mosca, che potrebbe utilizzare l’attacco come proxy per sostenere la necessità del proprio piano di counterterrorism).
Frank Gardner, corrispondente per la sicurezza della BBC, sostiene comunque che in questo momento sia Turchia che Russia stanno sperando che non si sia trattato di terrorismo. Nel frattempo, in queste ore, il direttore dalla National Intelligence americana James Clapper ha dichiarato che per il momento, stando alle sue informazioni, non sono uscite prove di attacchi terroristici. Contemporaneamente la CNN riporta che un dirignte della compagna aerea russa avrebbe ammesso che «l’unica spiegazione ragionevole per lo schianto è “una influenza esterna”».
(Nota: in una precedente versione di questo articolo, riprendendo , si indicava una dichiarazione del capo della Cia John Brennan, mentre invece si trattava di James Clapper ad aver detto che per il momento non ci sono prove di atti terroristici)